Vieni,
In cammino con la Parola
Pubblicato il Dicembre 5, 2025

Vieni, Signore, re di giustizia e di pace

Commento al Vangelo di domenica 7 dicembre

Dal Vangelo secondo Matteo

In quei giorni, venne Giovanni il Battista e predicava nel deserto della Giudea dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». (…) E lui, Giovanni, portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano cavallette e miele selvatico. Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la zona lungo il Giordano accorrevano a lui e si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha fatto credere di poter sfuggire all’ira imminente? Fate dunque un frutto degno della conversione, e non crediate di poter dire dentro di voi: ‘Abbiamo Abramo per padre!’. (…) Già la scure è posta alla radice degli alberi; perciò ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Io vi battezzo nell’acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno di portargli i sandali; egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala e pulirà la sua aia e raccoglierà il suo frumento nel granaio, ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».

Commento

A cura di Padre Pasquale Cormio

I frutti della conversione

Nel deserto della Giudea risuona l’invito alla metanoia, alla “conversione”, perché la venuta del Messia è prossima e il Regno dei cieli si è avvicinato. Riprendendo la profezia di Isaia, l’evangelista Matteo spiega meglio come intendere questo tempo di preparazione: tracciare la via e raddrizzare i sentieri implicano un cambiamento di mentalità e di comportamento, orientato dalla Parola e teso alla realizzazione della volontà di Dio.

La via indicata dal Battista non comporta un qualche ritocco di facciata nel rapporto con Dio, ma una trasformazione radicale del modo di giudicare, decidere ed agire nella quotidianità. Il discepolo, con le sue sole forze, non è capace di intraprendere questo mutamento di direzione, per conservarsi fedele agli impegni battesimali: deve sempre confrontarsi con la superbia, che vizia quel giusto rapporto di dipendenza tra la creatura e il Creatore, stravolgendolo a favore della creatura che tenta di sostituirsi al Creatore. Solo nell’umiltà e confessando i propri peccati l’uomo lascia agire in sé la grazia di Dio, che fa crescere nel cuore – come in un campo arato e predisposto alla semina – frutti di bontà e di verità.

E di umiltà dà prova Giovanni Battista, nel momento in cui non si arroga alcun riconoscimento messianico propostogli dalle folle, ma addita agli uomini il Cristo. Così sant’Agostino parla dell’azione del Precursore: “Che vuol dire: Preparate la via, se non: siate umili nei vostri pensieri? Da lui stesso prendete esempio di umiltà. È ritenuto il Cristo, afferma di non essere quel che viene creduto, né sfrutta per il suo prestigio l’errore altrui. Se avesse detto: Sono io il Cristo, con quanta facilità egli non avrebbe convinto, dal momento che se ne aveva la persuasione prima ancora che parlasse? Non lo disse: si riconobbe, si distinse, si umiliò. Avvertì dov’era per lui la salvezza: comprese di essere lucerna ed ebbe timore perché non venisse spenta dal vento della superbia” (disc. 293, 3).

Pur essendo una persona scomoda e dal carattere rude, che richiama la testimonianza dei profeti (Zac 13, 4) e in modo particolare di Elia (cfr. 2Re 1,8), Giovanni Battista è avvicinato da una moltitudine di gente, che si sposta da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona lungo il fiume Giordano, attratta dalla sua autenticità, dal suo stile di vita in sintonia con la verità del messaggio che proclama. La sua invettiva non risparmia i rappresentanti del giudaismo ufficiale, farisei e sadducei, i quali approfittano del loro status religioso per sottrarsi alla necessità di impegnarsi in prima persona in una rettitudine e integrità morale. Essere discendenti di Abramo non basta per evitare un giudizio di condanna, se non si pratica il bene.

Il Battista riconosce se stesso e la missione in rapporto al Messia, definito come colui che viene dopo di me: il Messia è il più forte, al pari di Dio, il Forte di Giacobbe (cfr. Gen 49,24; Is 49, 26); egli non si limita a impartire un battesimo per la conversione, ma battezzerà in Spirito Santo e fuoco, ad indicare una purificazione e trasformazione del cuore dell’uomo in rapporto a Dio e ai fratelli. Nella sua prospettiva il Precursore predica un giudizio imminente del Messia, che ha già in mano gli strumenti con cui raccogliere il frumento nel granaio e bruciare la pula nel fuoco inestinguibile. Una simile prospettiva tuttavia sarà smentita: pur riprendendo alla lettera il messaggio di conversione del Battista (cfr. Mt 4,17), Gesù Cristo si presenta mite ed umile di cuore (Mt 11,29), venuto non a spezzare una canna già incrinata né a spegnere una fiamma smorta (Mt 12,20). Il rinvio di un giudizio ritenuto imminente metterà in crisi lo stesso Battista, quando si troverà nella prigione di Macheronte (Mt 11,2-6); anch’egli dovrà completare il suo cammino di conversione ed accogliere il Messia venuto non per giudicare e punire, ma per salvare tutti gli uomini, facendosi promotore di un annuncio di misericordia.

L’opera d’arte

Antoon Van Dyck, Gesù e San Giovannino con l’agnello (1618-1620), Madrid, Museo del Prado. Se è vero che Giovanni Battista è il santo più rappresentato nell’arte, è vero anche che è uno dei pochissimi ad essere raffigurato anche da bambino. Come in questa opera dei primi anni di attività del fiammingo Van Dyck, allievo di Pieter Paul Rubens e, in seguito, pittore alla corte di Carlo I d’Inghilterra. Di profilo, vediamo in primo piano Gesù, avvolto in un’ampia tunica candida, e, di fronte, in secondo piano, Giovanni Battista, vestito di peli di cammello, che reca in mano la croce con il cartiglio “Ecce Agnus Dei”, ad indicare la sua precoce vocazione di precursore del Messia.

A destra, c’è una fontana zampillante, simbolo sia del battesimo, amministrato da Giovanni a Gesù, sia di quest’ultimo come “fonte di acqua viva”. A sinistra, l’agnello, altro attributo dell’iconografia del Battista, riceve la carezza del piccolo Gesù. I due bambini sono così immaginati dal pittore come paffuti compagni di giochi, ma, mentre Gesù appare pensieroso davanti all’agnello, come nel presagire il futuro sacrificio per la salvezza del mondo, Giovanni è un simpatico “monello” con lo sguardo rivolto verso l’osservatore.

V.P.

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