Ecco, viene il Signore, re della gloria
Vangelo di domenica 21 dicembre
Dal Vangelo secondo Matteo
Così fu generato Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, poiché era uomo giusto e non voleva accusarla pubblicamente, pensò di ripudiarla in segreto. Però, mentre stava considerando queste cose, ecco, gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele», che significa “Dio con noi”. Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.
Commento
A cura di Padre Pasquale Cormio
L’obbedienza della fede
Giunti alle porte del Santo Natale, la liturgia della IV domenica di Avvento propone la figura di Giuseppe, colui che ci invita a tenere il cuore aperto alla Parola del Signore quando sperimentiamo il tormento di una decisione da prendere. Il vangelo ci presenta il racconto complementare dell’annunciazione alla Vergine Maria, ma dal punto di vista del suo sposo Giuseppe. La sua presenza non è affatto secondaria nella storia della salvezza, perché per suo tramite il Figlio di Dio si inserisce nella discendenza del re David e riceve il nome di Gesù, evidenziando la sua missione di salvatore. Tutta la vita nascosta di Gesù, trascorsa a Nazareth, sarà affidata alla custodia paterna ed amorevole di Giuseppe.
Nel vangelo di questa domenica, tuttavia, si coglie il travaglio interiore di Giuseppe di fronte all’incomprensibile e inattesa gravidanza di Maria. Egli cerca una soluzione umana per salvaguardare la dignità e il bene della sua promessa sposa, senza esporla all’accusa di adulterio. È questa la notte dello spirito, che solo Dio può rischiarare, inviando in sogno un angelo ad aiutare Giuseppe ad accogliere i compiti effettivi e legali di padre nei riguardi del Figlio che nascerà. L’angelo risolve il grave dilemma con l’annuncio: Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. Giuseppe, da uomo giusto qual è, accetta la volontà di Dio senza rivendicazioni e interessi personali. Egli ama in maniera straordinariamente libera e dimostra di mettere al centro dei suoi progetti l’imprevedibile agire dello Spirito. La felicità di Giuseppe è nella logica del dono di sé: accoglie il piano di Dio, ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia.
Sant’Agostino potrà dire che “Giuseppe è padre non per virtù della carne, ma della carità. Così dunque egli è padre e lo è realmente” (disc. 51,16.26). Anzi per il vescovo di Ippona il vincolo matrimoniale di Giuseppe e Maria è tale da permettere ai due di essere i veri genitori del Figlio di Dio fattosi carne: “In quei genitori di Cristo si sono realizzati tutti i beni delle nozze: la prole, la fedeltà, il sacramento. Conosciamo la prole, che è lo stesso Signore Gesù; la fedeltà, perché non c’è nessun adulterio; il sacramento, perché non c’è nessun divorzio” (Le nozze e la concupiscenza I, 11.13).
Giuseppe non è un uomo rassegnato, condannato al silenzio. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo, a servizio dell’intero disegno di salvezza. La sua sorprendente umiltà è ravvisabile nell’obbedienza che presta alla volontà divina. Nel suo discernimento egli riesce a scoprire che oltre alla realtà che lui vede, c’è un piano di Dio da accettare con benevolenza e responsabilità. «Giuseppe ci insegna così che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca» (Papa Francesco, Patris corde 2).
L’abbandono alla volontà di Dio è certamente esigente, ma dà pace, serenità e fecondità spirituale. Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore, dimostrando in tal modo un’obbedienza della fede e una disponibilità di volontà simile a quella di Maria, in ordine all’annuncio che Dio gli aveva rivelato in visione. Solo così può compiersi il disegno tanto atteso: La vergine concepirà e darà alla luce un figlio. E Dio potrà manifestarsi all’umanità come l’Emmanuele, il Dio con noi.
L’opera d’arte
Daniele Crespi, Il sogno di San Giuseppe (1620), Vienna, Kunsthistorisches Museum. Milanese, formatosi alla scuola del manierismo per poi accostarsi ad un classicismo di matrice carraccesca, Crespi è annoverato tra i principali pittori del ‘600 lombardo. Un’influenza classicista che vediamo in questo dipinto – soprattutto nella figura dell’angelo – , identificato con una pala d’altare realizzata dal pittore per i carmelitani scalzi di Milano. Giuseppe è raffigurato mentre dorme, stanco per il lavoro, con gli strumenti da falegname abbandonati a terra.
L’angelo appare in un bagliore di luce divina, indicandogli in sogno, a sinistra, quale sarà la missione a cui Dio lo ha chiama: ecco Maria e il bambino Gesù adagiato nella mangiatoia. E’ il momento più drammatico della vita di Giuseppe, quello in cui accogliere il mistero dell’Incarnazione, fidandosi completamente della parola di Dio, che si fa voce attraverso il messaggero celeste. Secondo un’altra interpretazione, la scena dipinta da Crespi in quest’opera sarebbe il sogno con cui l’angelo comanda a Giuseppe di prendere con sé Maria e il bambino e di fuggire in Egitto per mettersi in salvo da Erode.




