La
Il Settimanale, In punta di spillo, Rubriche
Pubblicato il Ottobre 20, 2021

La televisione giustizialista che distrugge l’immagine insieme al pudore e la libertà

 

Magari qualche Vip (ma non confondiamo l’importanza e il valore delle persone con la notorietà!) farebbe carte false per ricevere un Tapiro dagli inviati di Striscia la Notizia. È vero che l’animaletto viene consegnato a chi ha fatto qualche passo maldestro o viene beccato in castagna, ma è altrettanto vero che cinque minuti di visibilità su uno dei programmi più seguiti dagli italiani è pur sempre uno spot da prendere in considerazione. Se tutto questo piaccia effettivamente ai Vip non lo sappiamo.

Di sicuro sembra piacere agli spettatori, perché sfruculiare le debolezze altrui è diventato uno sport molto praticato e molto popolare. Che poi altro non è che la versione mediatica del moralismo, quello della televisione giustizialista, la quale non ha di mira la difesa della morale, quanto colpire chi ha sbagliato, per metterlo alla gogna sulla pubblica piazza. Il moralismo è uno stretto parente della calunnia, che fiorisce dalle fragilità delle persone, gettate in pasto alla riprovazione pubblica.

C’è stato un tempo, ma forse dura ancora, in cui il pubblico ludibrio a cui veniva additato chi era ritenuto vero o presunto colpevole, sembrò la strada della moralizzazione del Paese. Erano gli anni di Tangentopoli, quando ogni arresto importante, a qualsiasi ora del giorno e della notte, trovava sempre qualche puntuale cronista a immortalare e descrivere la scena. Ci si chiedeva ingenuamente da quale spiffero fosse uscita la confidenza ai giornalisti di ciò che stava per accadere di lì a poco. Ma inutile rivangare per prendersela con qualche magistrato che curava la regia. Far strame di una classe politica dava carta bianca per prendersi qualsiasi libertà.

E così, dopo i tribunali inquisitori, nasceva anche l’inquisizione mediatica, quella del giustizialismo televisivo, ovvero l’arte di processare la gente sulla pubblica piazza. Gli italiani hanno finito per credere che colpire chi sbaglia, distruggendone l’immagine pubblicamente, fosse la vera strada per risanare l’Italia. Fu così che le redazioni delle varie testate televisive si trasformarono in call center dove i cittadini riversavano denunce e lamentele. Forse oggi è troppo tardi per rendersi conto che oltre a distruggere l’immagine di chi ha sbagliato, stiamo distruggendo tanto altro.

Nei giorni scorsi una nota attrice e personaggio televisivo è stata “tapirata” perché abbandonata dal compagno, noto personaggio sportivo, uso a cambiare compagne quante le squadre in cui si avvicenda come allenatore. Aldilà che risulta difficile capire quale colpa possa avere una donna abbandonata dal proprio uomo, aldilà della mancanza di rispetto per il dolore di una persona che vive un momento difficile della propria vita, aldilà che ci si chiede perché non siano andati dal fedifrago, è doveroso domandarsi se il presunto diritto di informare autorizzi a mettere in piazza l’intimità altrui, alla faccia del pudore e della riservatezza delle persone.

Che, detto fuori dai denti, il pudore non è questione di biancheria intima o di corpi vestiti. Il pudore è il diritto che ha ogni persona di comunicare la propria vita e la propria intimità a chi crede e ritiene ne sia degno. Si capisce così che il pudore è la cassaforte della libertà, con la quale ognuno di noi decide a chi far sapere le proprie cose.

E invece non solo siamo feriti nella nostra privacy e quindi nella nostra libertà, ma veniamo progressivamente ridotti a merce da esposizione, prodotti da bancarella dove tutto è esposto e tutto gira nella logica del denaro. Quello che fiorisce dai numeri dell’audience, ovviamente. Moralisticamente giustificato come diritto-dovere di informare.

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