Più PIL, meno benessere. Così non va
di Edoardo Patriarca
Edoardo Patriarca alla cerimonia della Festa del lavoro al Quirinale. Ph Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica
La questione del lavoro sta a cuore alle famiglie e alle imprese, oggi più che mai. La crisi indotta dalla pandemia, e ora dalla guerra in Ucraina, ci consegna un quadro per nulla rassicurante. I dati ultimi fotografano una tendenza in peggioramento: sono cresciuti i contratti a tempo determinato, e l’aumento di occupazione è segnato in gran parte dal lavoro precario: dal part time involontario (che colpisce soprattutto le donne) ai contratti a chiamata e in somministrazione, dai tirocini extra-curricolari al lavoro intermittente.
Cresce il PIL, dunque, ma non il benessere. Le caratteristiche già presenti nel mercato del lavoro – disuguaglianza, precarietà e frammentazione – sono aumentate nonostante la ripresa del 2021. Colpiscono anche i dati ultimi di Inps riguardo i salari. In Italia 4,5 milioni di lavoratori guadagnano un salario mensile netto intorno ai mille euro. Si concentrano in alcuni settori e riguardano in gran parte i giovani, condannati al lavoro povero e alla dipendenza dalle proprie famiglie di origine.
Le cause sono note: in alcune aree produttive e dei servizi il basso salario e la flessibilità sono una strategia adottata per stare sul mercato. Una scelta eticamente sbagliata, in contrasto con il dettato (art. 36), e smentita dai dati e dagli studi di molti economisti che hanno osservato come in molti casi gli incrementi di salario portino ad aumenti di produttività e orientino a investimenti a più alta intensità di innovazione.
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