Intervista ad Alessandro Berselli
CulturalMente, di Francesco Natale
Una storia “nera” che vede protagonista l’adolescenza è quella raccontata da Alessandro Berselli in “Il liceo”, ultimo libro dell’autore edito da Elliot. Per questo numero di CulturalMente ho intervistato l’autore dell’opera.
In “Il liceo” tu racconti di personaggi adolescenti. Come mai hai deciso di parlare proprio di giovani?
Sono sempre stato affascinato dal pianeta adolescenza, questa terra di mezzo in cui non ti vengono più fatti gli sconti di quando eri bambino ma nello stesso tempo non vieni ancora considerato come se fossi un adulto, per non parlare poi delle difficoltà a posizionarsi socialmente con i propri coetanei. Nei ricordi la mitizziamo come un’età dell’oro, ma in realtà è una giungla terribile. Perfetta per un libro nero.
L’ambientazione è quella della Milano bene. Eppure anche nella upper class milanese ci sono episodi di disagio adolescenziale e bullismo. Questo libro vuole dirci che questi fenomeni riguardano anche la “parte alta” della società? Perché hai deciso che i protagonisti dovessero essere di un prestigioso liceo quale il Modigliani e non di una scuola minore?
La upper class è quella dove il disagio adolescenziale trova ancora più terreno fertile, perché oltre a tutto ciò che ho detto prima c’è anche la competizione e le pressioni da parte degli adulti, soprattutto i genitori, che non vogliono vedere disattese le proprie aspettative. Per questo ho voluto collocare la mia storia in un liceo super-elitario. Per rendere la vita ancora più difficile ai miei personaggi.
C’è qualcosa degli altri tuoi romanzi che riporti in “Il liceo”?
Nei miei romanzi ci sono temi ricorrenti. Una storia nera usata come espediente per parlare di altro, difficoltà relazionali, il cammino verso l’età adulta, le distorsioni sociali, la psicologia dei personaggi. Sono queste le cose che mi interessano, non soltanto scrivere un giallo con un colpevole da scoprire, mi piace stratificare la narrazione e contaminarla con generi diversi.
Parlando di te. Quando hai iniziato a capire che la scrittura sarebbe divenuta la tua strada?
Difficile dirlo. Ho ricordi di me da bambino che scrivevo storie. Quindi potrei dirti da sempre. Solo che poi ho fatto altro nella vita e la scrittura l’ho ripresa parecchi anni dopo. Adoro scrivere. Inventare storie, farle abitare dai miei personaggi. E poi il lavoro sullo stile. Quella è proprio la parte che mi piace di più.
C’è qualche consiglio che vorresti dare agli aspiranti scrittori?
Intanto leggere molto. Lo diceva Camilleri, si impara a scrivere andando a bottega dai grandi, ovvero entrando dentro le parole dei maestri e di chi la narrazione la pratica già di mestiere. E poi essere figli del proprio tempo, usare un linguaggio moderno, storie contemporanee. C’è tanto da raccontare sul tempo che stiamo vivendo.