La missione qui tra noi
di Ermenegildo Manicardi
In un certo senso il paragrafo di Missione e Chiesa in uscita che si avvicina maggiormente alle preoccupazioni espresse nel saggio Senza Chiesa e senza Dio è quello intitolato Di fronte a novità storiche rilevanti: un’uscita missionaria da confermare.
Nelle due situazioni cui abbiamo fatto riferimento appena adesso – lettura delle Scritture e sviluppo del ministero – la responsabilità del discepolo consiste nel dare uno sviluppo intelligente a un dono ricevuto da Dio già con confini chiari e determinazioni vincolanti. L’uso dell’intelligenza delle Scritture prevede un compimento adeguato ad un abbozzo che contiene già nella Bibbia alcuni elementi normativi che vengono dal Signore. Anche lo sviluppo dei ministeri impiega un’umana “inventiva concretizzante” che si applicandola a qualcosa già iniziata dall’azione divina. Quando invece la Chiesa si trova nella necessità di leggere circostanze in precedenza non conosciute per dare vita a innovazioni indispensabili perché la missione e l’apertura possano davvero continuare, l’intelligenza dei «testimoni» viene sfidata in maniera più radicale.
Una provocazione enorme per la Chiesa di oggi sono le culture “straniere” che entrano in paesi – come appunto quelli occidentali – un tempo segnati da una maggioranza cristiana massiccia. In passato, missione significava spostarsi in un paese dove vivevano popolazioni che non avevano mai incontrato il Vangelo (missio ad gentes): oggi non è questa la situazione predominante. Adesso la Chiesa incontra uomini e donne, che non conoscono il messaggio di Gesù o non lo conoscono con chiarezza piena, negli stessi luoghi dove vivono dei fedeli abituati a una “loro” cultura cristiana. I «testimoni» (che, credo, Salvarani definirebbe “occidentali”) si trovano oggi immersi in una sempre più impressionante mescolanza di culture e spesso si sentono, di conseguenza, senza mediazioni rassicuranti e senza una specifica preparazione, si sono trovati – “all’improvviso” e in fondo forzosamente – di fronte e a fianco a uomini e donne non cristiani e segnati da culture molto lontane. Il non facile “meticciato” non è privo di possibili fraintendimenti, contraddizioni e rischiose tensioni. Tale situazione potrebbe diventare, però, anche sorgente di affascinanti prospettive e di ragionevoli speranze. Straniero e persone di diversa cultura sono diventati il vicino, il condomino, il compagno di lavoro e di scuola. È perciò richiesto, sempre più, un dialogo diretto e senza tempi di preparazione tranquillizzante. In passato “il missionario” era, per così dire, uno “ specialista professionalizzato”, che arrivava «alle genti», spinto da una vocazione speciale, dopo una formazione mirata e giungeva sul posto a conclusione di un lungo viaggio di accostamento; adesso nelle società culturalmente e religiosamente pluralizzate, il discepolo deve diventare “ testimone in automatico”. Salvarani direbbe che adesso è il tempo della missio inter gentes!
Il racconto di Atti mostra il grande vantaggio che la Chiesa ebbe dall’avere incorporato culture diverse rispetto a quella del gruppo originale dei discepoli storici di Gesù, semplici Giudei di Galilea. A Gerusalemme la comunità cristiana, allargata dagli Ellenisti, divenne un importante crogiolo che raffinò la teologia della comunità ancora agli inizi (cf. At 6-8). Alle tensioni e ai piccoli conflitti fecero seguito perciò le aperture migliori, che ebbero luogo ad Antiochia di Siria (cf. At 11,19-26) e che furono poi tradotte in scelte definitive (cf. At 13-14), difese con energia ed equilibrio (At 15,1-35).
Più che “tranquillizzare” e consolare, il racconto lucano invita ad avere coraggio. L’edificazione della Chiesa ha bisogno di un’apertura e di una dedizione spesso sofferte, oltre che di un’intelligenza capace di elaborare sintesi nuove e prospettive alla partenza non immaginabili. La “globalizzazione” odierna – altra parola chiave di Senza Chiesa e senza Dio – è una difficoltà ma anche una sfida importante per la Chiesa, tanto più che da sempre essa si è fregiata della qualifica di “cattolica”. In fondo la situazione odierna potrebbe aiutare a rendere più concreta la dichiarazione ideale che apre la Costituzione Lumen Gentium: «la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano » (LG 1).
Occorre però anche un’attenzione che non va marginalizzata. Anche se l’obiettivo non è “convertire” alle nostre convinzioni i nuovi arrivati nella nostra società, non si può neanche pensare di avere una fede e di viverla senza farla risplendere. L’ingenua mascheratura delle tracce di una civiltà cristiana –testimonianze di un passato spesso intenso e fecondo – è in evidente contraddizione con la parola di Gesù: «risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,16).
Ovviamente non è il caso di pensare a forme ostentate e trionfalistiche d’annuncio e di coinvolgimento. Si dovrebbe invece studiare e inventare qualche “sistema fraterno” e semplice per favorire la conoscenza della radice religiosa e segnatamente biblica della nostra cultura, personale e sociale, alle persone arrivate di recente. In merito non ci possono essere un dialogo vero e un’accoglienza sincera se l’incontro fraterno non porta anche a presentare davvero sé stessi, le radici e le ragioni del proprio modo di essere. È un obiettivo tanto necessario quanto ambizioso. Non è certo sufficiente continuare nella catechesi per i “nostri ragazzi”: se non si riuscisse a trovare per la nostra fede uno sbocco complessivo e plurale nella cultura di tutta la gente, questi giovanissimi finirebbero per essere formati da noi semplicemente all’interno di un grande “piccolo ghetto”. Essi hanno bisogno invece bisogno di scoprire insieme a tutti i loro coetanei il significato dei segni della cultura cristiana del passato come anche delle istituzioni e delle realizzazioni che la fede anima anche oggi. Per i testimoni del Signore risorto è questo lo spazio in cui essere presenti e attivi, puntando senza incertezze sulla condivisione, sul dialogo amichevole e su un annuncio empatico e fraterno.
5 – continua
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