Contraccezione coatta
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
Tra il 1960 e il 1970 le autorità sanitarie della Danimarca autorizzarono l’inserimento di spirali contraccettive in molte donne di etnia Inuit (piccolo popolo dell’Artico) senza il loro consenso. Oggi, 67 donne di questa etnia, hanno chiesto al governo danese un risarcimento monetario pari a 40.000 euro per ognuna di loro, ritenendolo responsabile delle gravi conseguenze che hanno dovuto subire attraverso questo intervento violento, prevaricatorio, lesivo, senza nemmeno il loro permesso. Il governo di Copenaghen aveva voluto diminuire la crescita della popolazione Inuit imponendo una sconsiderata politica di infertilità alle donne di quella popolazione, attraverso l’inserimento coatto di una spirale a 4500 ragazze. Queste, oggi, donne adulte, hanno compreso la violazione dei loro diritti, mostrando le conseguenze gravi sulle loro esistenze e quindi non potevano non chiedere conto alla Danimarca di questa folle scelta.
“Non sapevo cosa mi stessero impiantando perché nessuno me lo ha mai spiegato o ha chiesto il mio permesso. Ero vergine, non avevo nemmeno mai baciato un ragazzo” ha detto Naja Lyberth, una signora che all’epoca dei fatti era poco più che una bambina. A 13 anni fu chiamata per la visita di controllo e in quella circostanza le fu inserita la spirale contraccettiva. Come si scriveva poco sopra, durante la campagna di controllo delle nascite avviata dalla Danimarca tra gli anni ‘60 e ‘70 in Groenlandia (territorio del Regno danese dal 1953), a migliaia di donne del popolo indigeno Inuit fu impiantato il dispositivo intrauterino sin da bambine per impedire che la comunità si espandesse.
Naja, ancora scioccata da quel ricordo di tanti anni fa, ha creato un gruppo per riunire le donne con la sua stessa esperienza per chiedere un risarcimento per l’ingiustizia subita. Quando emergono questi fatti si rimane sempre sconcertati per diverse ragioni, soprattutto per la violenza adottata nei confronti dei più deboli e per scopi sinceramente poco nobili. Inadeguata una campagna sterilizzante per scopi demografici ma ancora più vergognosa l’idea di far subire la scelta del più potente all’inerme, a chi non si può difendere e in modo subdolo. Ci auguriamo che questa richiesta di risarcimento non cada nel dimenticatoio ma riesca ad andare a buon fine, non solo per il guadagno economico a queste povere donne ma come monito a una politica violenta, sconsiderata e irrispettosa.