Benedirò il tuo nome per sempre, Signore
Commento al Vangelo di domenica 18 maggio
Dal Vangelo secondo Giovanni
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
Amare come Gesù
A cura di Rosalba Manes consacrata ordo virginum e biblista
Nel Vangelo della V domenica di Pasqua, Giovanni ci conduce nel cenacolo e ci fa respirare l’atmosfera di un luogo che diviene lo scenario dell’ultimo grande insegnamento di Gesù espresso sotto forma di testamento. Prima della cena, Gesù è stato il destinatario di molteplici sentimenti: l’odio dei Giudei a causa del segno della risurrezione di Lazzaro; la gratitudine amorevole e generosa di Maria di Betania, sorella del morto restituito alla vita e ai suoi affetti; l’indurimento di uno dei suoi intimi, Giuda, che si irrita dinanzi al profumo di nardo sprecato per Gesù. Questi, accogliendo le suggestioni di Satana, divisore sin dal principio, medita il tradimento nel suo cuore e si stacca dal gruppo dei dodici. Abbandona così il luogo caldo della comunione, dove Gesù, lavando i piedi ai suoi, ha manifestato la forza della debolezza di un Dio che è Signore eppure si abbassa, toccando l’uomo nelle sue ferite, nelle sue fatiche, laddove è più a contatto con la terra, per elevarlo.
In questa atmosfera, in cui lottano sentimenti contrastanti, Gesù fa prevalere l’amore. Egli legge l’uscita di Giuda con un’ermeneutica speciale: chiama “glorificazione” ciò che rappresenta un’umiliazione e reagisce alla defezione di un amico con un linguaggio che gronda speranza di prossimità e di comunione. C’è un rapporto fragile che può sfaldarsi ed è quello dei discepoli con Gesù, ma c’è anche un rapporto forte e indistruttibile che è quello di Gesù con il Padre, rapporto di reciprocità e comunione piena, che dà vigore e slancio anche al rapporto che Gesù ha intessuto con i suoi discepoli. La glorificazione di cui parla Gesù infatti non ha tratti mondani, ma è l’effetto di un amore superlativo che resiste agli urti, che non viene meno di fronte agli abbandoni, che nutre sempre la speranza che nel cuore umano l’amore prevalga sull’egoismo e sul proprio tornaconto.
La glorificazione di cui parla Gesù (una glorificazione simultanea del Padre e del Figlio) è connessa alla sua morte ormai imminente (“Figlioli, ancora per poco sono con voi”), parte con la consegna di Giuda che si manifesta come tradimento, come disconnessione dalla rete feconda dell’amicizia con Gesù, e prende consistenza con la reazione di Gesù che è pure consegna, nel senso però del dono d’amore di tutto se stesso. Sia Giuda che Gesù danno qualcosa o meglio qualcuno: Giuda consegna Gesù dimenticando il legame che lo ha unito a lui, Gesù consegna se stesso ricordando a tutti l’unico legame che invece di imprigionare libera: l’amore.
Da qui la consegna di un impegno: “Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri”. La vera gloria è nell’amore, in quell’amore che va oltre il limite dell’altro e oltre il proprio apparente fallimento. Si tratta di un amore che i discepoli non dovranno reperire chissà dove, ma che dovranno imparare da Gesù. L’invito è ad amarsi a vicenda non facendo leva sul proprio sentire, così mutevole e spesso ingannevole, ma scegliendo l’amore solido e inossidabile di Gesù come misura, come matrice per la rigenerazione costante del proprio fragile amore. Per questo Gesù impiega il tempo ormai breve che gli resta per riempire delle fragranze dell’amore il cenacolo e incidere nel cuore dei suoi il segreto della loro felicità e di ogni discepolato che voglia portare frutto e attrarre i cuori a Dio: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri”. L’amore vicendevole non è opzionale ma costitutivo della vita della chiesa; è ciò che provoca il suo slancio missionario. La Chiesa, infatti, è madre che genera alla vita nuova, nutrice che offre cibo sostanzioso, accompagnatrice nei percorsi di crescita e maturazione, terapeuta che cura le ferite dell’anima, nella misura in cui tutti i battezzati – pastori, ministri ordinati e laici estirpando l’inimicizia e la mormorazione scelgono di promuovere l’amore fraterno.
Gesù dà un comandamento nuovo: amarsi gli uni gli altri come ha amato lui. Questo comandamento è nuovo perché rivolto a tutti gli uomini senza alcuna discriminazione; è nuovo anche per l’ideale che viene proposto: amare come ama Gesù. L’amore di Cristo non è solo l’idea, ma è anche il motivo per cui amiamo ed è anche il principio attivo che ci fa amare come lui. L’amore fra i cristiani ha la funzione di rispecchiare l’amore che c’è fra le tre persone della Santissima Trinità. Noi siamo chiamati ad amare come ama Cristo, per primi, in maniera assoluta, non condizionata, cioè senza dire: «Io ti voglio bene, perché tu mi dai», altrimenti siamo nel regno dell’inutile. Siamo chiamati ad amare senza condizioni perché siamo amore. Quando avremo dei rapporti umani non più basati sul dare e sull’avere o sulla presentazione della nota spese dopo avere amato, noi avremo una civiltà nuova!
Don Oreste Benzi (Tratto da “Pane Quotidiano, Sempre Editore”)
L’opera d’arte
Giovan Battista Moroni, Ultima cena (1565-71), Romano di Lombardia (Bergamo), chiesa di Santa Maria Assunta e San Giacomo Maggiore. Il Vangelo di questa domenica si colloca nel contesto dell’ultima cena, ispiratore di numerosi capolavori. Fra questi, anche se poco nota, l’opera del bergamasco Giovan Battista Moroni, forse il più grande ritrattista italiano del ‘500, che si cimentò anche nel genere sacro. L’episodio è da lui immaginato nel momento immediatamente successivo all’annuncio, da parte di Gesù, del tradimento: all’interno di un’architettura scenica, Cristo è al centro, da un lato Giovanni poggia la testa sul suo petto, dall’altro Pietro chiede se sarà lui a tradire il Maestro. Gli altri apostoli, colti nelle diverse reazioni all’annuncio, sono disposti secondo una tradizionale suddivisione a gruppi. Oltre alle tonalità cromatiche, spicca, alle spalle di Gesù, il servitore, con il colletto e il tovagliolo bianchi, che porta in tavola il vino e rivolge lo sguardo verso lo spettatore. Un personaggio singolare, identificato dagli studiosi come un autoritratto del pittore.
V.P.