Le esperienze di pre-morte
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
Esistono delle esperienze molto interessanti, chiamate di pre-morte o NDE ( Near Death Experience) vissute da persone che hanno ripreso le funzioni vitali dopo eventi traumatici importanti come, per esempio, un arresto cardiocircolatorio o nello stato di coma. La prima NDE documentata nei tempi moderni risale al medico francese Philippe Charlier nel 1740. I soggetti che hanno vissuto tali fenomeni, una volta riprese le funzioni vitali, hanno raccontato di aver provato esperienze che risultano in buona parte connotate da numerosi elementi comuni come: abbandono del proprio corpo con la possibilità di osservarlo dall’esterno, attraversamento di un “tunnel” buio in fondo al quale si intravede distintamente una luce, ritorno alla vita terrena accompagnato da un sentimento di rimpianto etc. Le spiegazioni scientifiche mettono in relazione il fenomeno con peculiari alterazioni transitorie di tipo chimico, neurologico e biologico, ad esempio, l’ipercapnia, l’ipossia, l’impiego di alcuni farmaci come la chetamina (forte analgesico che può dare allucinazioni), depersonalizzazione somatopsichica etc.
Nel 2001, van Lommel su Lancet, pubblica uno studio condotto per oltre 10 anni su 344 pazienti concludendo che i ricordi della NDE riferiti dai soggetti non coincidono né con le irrilevanti attività cerebrali riscontrate durante il monitoraggio EEG, né come epifenomeni delle stesse, quasi a intendere le NDE come degli “stati di coscienza” totalmente separati dal corpo. Questo scatenò un forte dibattito ma diversi sono gli studi che avanzano l’ipotesi che queste esperienze non sono realmente “confezionate” dalla mente. Altri studi e pareri tengono ferma l’ipotesi di una incontrovertibile relazione tra stato mentale alterato ed esperienze extra corporee. Ciò che si chiama NDE sarebbe equivalente, secondo la tradizione cristiana, a una vera e propria risurrezione dai morti (nello stesso corpo terreno, simile a quella di Lazzaro ma diversa da quella di Gesù). Insomma, questo campo resta veramente ancora inesplorato e molto attraente. Certamente, un atteggiamento corretto è senz’altro quello di rimanere con i piedi ben piantati per terra senza escludere, a priori, ogni forma di possibile esperienza oltre la vita. In una lettera, Jung, discepolo freudiano scrive: “ Quel che viene dopo la morte è qualcosa di uno splendore talmente indicibile, che la nostra immaginazione e la nostra sensibilità non potrebbero concepire nemmeno approssimativamente… Prima o poi, i morti diventeranno un tutt’uno con noi; ma, nella realtà attuale, sappiamo poco o nulla di quel modo d’essere. Cosa sapremo di questa terra, dopo la morte? La dissoluzione della nostra forma temporanea nell’eternità non comporta una perdita di significato: piuttosto, ci sentiremo tutti membri di un unico corpo”.