Solo il servizio nell’amore potrà salvare la Chiesa dal fuoco che la consuma
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Il progressivo e costante abbandono da parte di molti cristiani della frequenza alla chiesa inquieta l’animo di tanti pastori, ma anche di tanti cristiani, convinti che davanti ci aspetti il nulla religioso. I segnali di malessere sono tanti e risvegliano la febbre dell’animo che racconta frustrazione, sfiducia ed anche rassegnazione, quasi fosse arrivato il momento di arrendersi e gettare la spugna. Perché darsi da fare se questi sono i risultati? Perché mettere in campo tante energie se il gioco non vale la candela? Un’antica leggenda ceca racconta di un architetto che aveva costruito una bellissima chiesa. Al termine dei lavori, per accelerare l’uso dei nuovi spazi sacri, decise di dar fuoco ai legni che avevano fatto da impalcatura. Il fuoco che si sprigionò fu tale che gli fece credere di aver distrutto, insieme all’impalcatura, anche l’opera che aveva appena terminato. Disperato si suicidò. Metafora inquietante se riferita al fuoco che sta distruggendo tradizioni consolidate, pratiche religiose, convincimenti che hanno camminato per secoli. Ma anche motivo di speranza al pensiero che, una volta consumato il fuoco distruttore dei tempi, nel futuro che ci sta davanti la cattedrale tornerà a splendere nella sua bellezza.
Piuttosto, a questo punto, si impone una domanda: cosa fare perché la Chiesa, ma sarebbe corretto parlare del Vangelo, rimanga un faro capace di attrarre e di indicare la strada del ritorno ai naviganti sballottati tra le onde del tempo? Mi tornano alla mente due frasi di papa Francesco capaci di entrare nelle fessure della coscienza come fanali di luce: “Siate ospedale da campo” e, “I poveri bisogna guardarli negli occhi”. La Chiesa delle origini, povera di mezzi, e più povera ancora di considerazione da parte del potere che la perseguitava, si fece largo con la diaconia, ossia il servizio. Bruciassero pure le impalcature, ma il bene seminato in silenzio raccontava la bellezza del Mistero creduto nella fede, mostrando al mondo la cattedrale dell’amore. E il mondo malato aveva capito che erano il cuore e gli occhi dei cristiani ciò di cui c’era bisogno e la direzione verso cui bisognava andare.
L’impalcatura che brucia, dandoci l’impressione che anche la cattedrale bruci, forse è soltanto la fine di un cristianesimo fatto più di abitudini che di amore, di un credere teorico più che esistenziale, di un individualismo spirituale che la psicologia a volte potrebbe rimpiazzare con qualche terapia del caso, di un senso del peccato che spesso sa più di senso di colpa che di vera voglia di cambiare. Brucia la stanchezza di liturgie che mandano l’odore degli abiti lasciati da sempre negli armadi. Diceva un amico teologo che la città si aspetta il sorriso dei cristiani. Il linguaggio può anche essere modificato a piacere ma la sostanza resta vera nella sua essenzialità. La città aspetta il nostro sorriso, la nostra gioiosità, la carità del carattere, prima ancora di quella fatta col portafoglio. È l’empatia inclusiva del voler bene, che non va confusa col diventare scaffale del supermercato, quando a contare sono solo i vantaggi che le persone vengono a mungere dalla generosità dei buoni. Seminare Vangelo è suscitare la voglia di stare con noi, che è il primo modo di far vedere che siamo del Maestro.