Carcere. Durante e dopo si può restare umani
Secondo appuntamento del ciclo "Carcere, conoscere per cambiare" organizzato da Centro Missionario e associazione Venite alla Festa
Da sinistra Massimiliano Ferrarini, Giovanna Laura De Fazio, Paolo Tomassone, Beatrice Campari (ph Daniele Tavani)
Stefano Facchini*
Il secondo appuntamento del ciclo di incontri sul tema “Carcere: conoscere per cambiare” si è svolto giovedì 19 giugno presso la sede della Comunità Venite alla Festa, promotrice dell’iniziativa insieme al Centro Missionario di Carpi, all’interno della “settimana comunitaria” vissuta dalle famiglie dell’associazione. Paolo Tomassone, giornalista, ha moderato l’incontro e ha riconosciuto che le notizie sul carcere che appaiono sui giornali o sui social sono sempre molto distaccate, schermate, mai fornite in prima persona da parte di chi ci vive o ci ha vissuto. Da qui l’invito a stare sui fatti, su esperienze reali come ad esempio il progetto del “Laboratorio gastronomico Sant’Anna”, della cooperativa sociale Eortè, che ha l’obiettivo di far lavorare, dentro il carcere, alcuni detenuti, impegnati nella produzione di prodotti gastronomici di qualità. E’ noto che chi lavora, durante la detenzione, ha il 2% di probabilità di recidiva; chi non lavora, il 70%! Come torneranno in libertà queste persone, con quali esperienze e bagagli, se non sono impegnati in percorsi attivi, positivi, propositivi quindi realmente rieducativi?
A questa domanda ha risposto l’esperienza di Beatrice Campari, ex detenuta ed autrice del libro “Io sono una donna fortunata”, nato per dar voce a chi non ce l’ha, ai carcerati ma anche alla Polizia penitenziaria ed al personale che in carcere ci lavora. Per Beatrice l’ambiente carcerario è sconosciuto a tutti coloro che non lo vivono dal di dentro, dove le persone sono solo un numero, con pochi o nulli contatti con l’esterno: i più fortunati una telefonata di dieci minuti una volta alla settimana, una visita di un’ora alla settimana, per chi ha qualcuno che li va a trovare. Entrata in carcere ha sentito il vuoto, ma ha ben presto capito che doveva reagire ed allora: turni di pulizie, sartoria, biblioteca, Università… E’ stato fondamentale essere impegnata, tutto il giorno, in attività varie, per superare una gestione del tempo che spersonalizza, confonde, che non passa mai… Beatrice ha messo un forte accento sull’importanza di avere fuori una famiglia perché altre giovani donne uscite dal carcere sono rientrate poco dopo, a causa della mancanza di una rete familiare ed amicale di sostegno. Altrettanto utile la presenza di un’organizzazione di volontariato capace di accogliere i detenuti al termine della detenzione, come è stato per lei a conclusione del suo percorso dove ha incontrato persone che le hanno dato forza. Lo stigma sociale nei confronti dei carcerati è fortissimo e non è certo da tutti la capacità di superarlo, di andare oltre. Anche per questo un contesto esterno accogliente è di grande aiuto; persone, famiglie, gruppi, associazioni, cooperative, comunità, parrocchie possono fare la differenza.
Nella veste di “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale” è intervenuta Giovanna Laura De Fazio, professoressa di Criminologia all’Università di Modena e Reggio Emilia. Grazie alla possibilità di accedere al carcere, anche se con le mille difficoltà e vincoli, ha rapporti coi carcerati, coi familiari e col personale penitenziario, per raccogliere disagi di ogni tipo, segnalazioni di violenze subite… Ha ribadito l’importanza di continuare ad investire in progetti, piccoli e grandi, dentro e fuori dal carcere, col Tribunale di Sorveglianza, con l’Università. E’ necessario far conoscere maggiormente il carcere, una realtà ben poco conosciuta. De Fazio ha concluso il suo intervento con una criticità vissuta anche da Beatrice: i tempi della giustizia, con le sentenze che colpiscono anche a distanza di tanti anni dai reati contestati. Tanti, troppi anni, con una vita cambiata che viene stravolta da una pena che arriva anche dopo 10 anni.
A chiudere gli interventi della serata è stato Massimiliano Ferrarini, responsabile area carcere e giustizia di Caritas diocesana modenese. Per volontà del vescovo Erio fin da subito si è strutturata una presenza della Chiesa dentro e fuori dal carcere per stare vicino ai detenuti. Coordinamento, promozione, ascolto, conoscenza, accompagnamento: queste le azioni tentate, tra le mille difficoltà già ricordate. Un tentativo di contrastare solitudine e spersonalizzazione dei detenuti dentro il carcere e spaesamento, una volta usciti. Ha ricordato il drammatico dato dei suicidi, 18 volte più frequenti all’interno dell’ambiente carcerario, con ingresso e uscita dal carcere come periodi più critici. Anche a causa dell’estrema difficoltà ad operare in questo contesto, è sempre più necessario ampliare e rinforzare la rete che vi opera, fatta di associazioni, cooperative, realtà ecclesiali che cercano di entrare e rimanere dentro questo mondo sconosciuto ai più. La conferma della sensibilità di mons. Castellucci si è avuta la sera precedente, 18 giugno, quando nel corso del suo intervento sul tema dell’accoglienza e delle reti familiari, ha ricordato l’esperienza diretta accaduta dopo i fatti drammatici avvenuti all’interno del carcere S. Anna all’inizio della pandemia. In quell’occasione era stato chiesto anche alla Chiesa modenese di dare una mano, accogliendo alcuni detebuti nel periodo del “fine pena”: 8 parrocchie hanno risposto positivamente e dal momento che erano 9 le persone da collocare, il vescovo ha accolto un carcerato, per un anno e mezzo, negli spazi del vescovado.
Da parte dei presenti è emersa una coraggiosa disponibilità a mettersi in gioco, ad esempio per accogliere persone in uscita dal carcere. Servono fatti concreti possibili e necessari, che impegnano come singoli ma inseriti in una Comunità più ampia, dove la collaborazione di tutti è indispensabile per cambiare le storie personali e cercare di invertire numeri e percentuali ad oggi ancora drammatici.
La serata si è conclusa con l’assaggio dei tortelli prodotti dai detenuti lavoratori del Sant’Anna nell’ambito del progetto a cura della cooperativa Eortè. Uno squisito modo per concludere un breve percorso conoscitivo e proseguire con azioni concrete, reali e possibili.
*Comunità Venite alla Festa