Ogni comunità sia casa della pace
L'invito di Leone XIV ai cattolici italiani
Pace. Dall’inizio del pontificato non c’è intervento pubblico di Leone XIV che non contenga un appello per la pace: per i conflitti più seguiti dai media e per quelli dimenticati ma non meno drammatici. Cosa possiamo fare come diocesi, parrocchie, comunità e singole persone? Ecco la proposta del Papa alla chiesa italiana che abbiamo chiesto di commentare a don Carlo Bellini. Come anticipato le chiese di Modena-Nonantola e di Carpi su indicazione del vescovo Erio sono state invitate, nel corso dell’assemblea del 3 giugno scorso, a mettere il tema della pace al centro della programmazione del prossimo anno pastorale.
di Don Carlo Bellini
“Basta così”, dice Gesù nella descrizione della cattura nell’orto degli ulivi (Luca 22, 51), quando gli apostoli cercano di difenderlo e tirano fuori delle spade. Gli amici di Gesù avevano delle spade, pur seguendo un maestro che dichiarava beati i costruttori di pace e insegnava ad amare i nemici. Questo episodio descrive bene come sia difficile prendere sul serio l’insegnamento di Gesù, di fronte agli eventi della vita, personale e sociale. La storia del rapporto tra il cristianesimo e la guerra è lì a testimoniarlo. Papa Leone XIV ha incontrato il 17 giugno i vescovi della Conferenza Episcopale Italiana e tra i tanti argomenti di un discorso ricchissimo ha dato spunti decisivi sulla pace. Vale la pena riportare il passaggio per intero. “La relazione con Cristo ci chiama a sviluppare un’attenzione pastorale sul tema della pace. Il Signore, infatti, ci invia al mondo a portare il suo stesso dono: ‘La pace sia con voi!’, e a diventarne artigiani nei luoghi della vita quotidiana. Penso alle parrocchie, ai quartieri, alle aree interne del Paese, alle periferie urbane ed esistenziali. Lì dove le relazioni umane e sociali si fanno difficili e il conflitto prende forma, magari in modo sottile, deve farsi visibile una Chiesa capace di riconciliazione. L’apostolo Paolo ci esorta così: ‘Se possibile, per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti’ (Rm 12,18); è un invito che affida a ciascuno una porzione concreta di responsabilità. Auspico, allora, che ogni Diocesi possa promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza, iniziative di mediazione nei conflitti locali, progetti di accoglienza che trasformino la paura dell’altro in opportunità di incontro. Ogni comunità diventi una ‘casa della pace’, dove si impara a disinnescare l’ostilità attraverso il dialogo, dove si pratica la giustizia e si custodisce il perdono. La pace non è un’utopia spirituale: è una via umile, fatta di gesti quotidiani, che intreccia pazienza e coraggio, ascolto e azione. E che chiede oggi, più che mai, la nostra presenza vigile e generativa”.
Si tratta di un bellissimo testo, che mostra come il Papa conosca concretamente i luoghi della violenza quotidiana e che individua quasi un programma concreto che le comunità cristiane possono attuare. La pace va prima di tutto vissuta nella quotidianità delle famiglie, delle parrocchie, dei quartieri, e fatta oggetto di percorsi di crescita, di una pedagogia della pace. Allo stesso tempo si deve approfondire una spiritualità della pace, che rappresenta anche un decisivo tema di dialogo interreligioso. Le comunità possono diventare “casa della pace”, imparando l’arte del dialogo. Ma voglio attirare l’attenzione sull’invito del Papa a promuovere percorsi di educazione alla nonviolenza. Il magistero della chiesa ha sempre insegnato una equilibrata dottrina sulla guerra giusta e solo recentemente ha cominciato a parlare di nonviolenza, come insegnamento che coerentemente discende dal vissuto di Gesù. Richiamo qualche testo importante. Papa Benedetto XVI, all’Angelus del 18 febbraio 2007, commentando Lc 6,27 (Amate i vostri nemici), definisce questo brano la magna charta della nonviolenza cristiana e aggiunge che “la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore del nemico costituisce il nucleo della ‘rivoluzione cristiana’, una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico”. Papa Francesco nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace (1° gennaio 2017) intitolato “La nonviolenza: stile di una politica per la pace”, ha parlato di una cultura della pace da costruire a tutti i livelli della civiltà e della cultura. In questi giorni queste parole possono risultare a qualcuno ingenue se confrontate con la durezza degli avvenimenti e l’impotenza degli appelli alla pace. Ma una considerazione va fatta: sul tema della pace e della nonviolenza ne va del futuro non solo dell’umanità ma anche del cristianesimo. Un cristianesimo che si dimostrasse solidale con una prassi di violenza, che non si indignasse di fronte alla strage di uomini innocenti, sarebbe destinato alla insignificanza, allo svuotamento di ogni sua ragione di essere.
Provo a motivare questa affermazione partendo da un testo degli anni sessanta dello psicoanalista Franco Fornari: “Psicoanalisi della guerra”. In questo testo Fornari sostiene che dal punto di vista psicoanalitico la guerra è una trasformazione difensiva del lutto. Gli esseri umani, incapaci di elaborare il dolore della perdita (soprattutto legata agli oggetti d’amore come la famiglia, la patria, la cultura, un ideale, un simbolo di sicurezza affettiva), proiettano la distruttività verso un nemico esterno. La guerra serve a negare il dolore del lutto, trasformandolo in aggressività. Una elaborazione simbolica sana del lutto comporta invece l’accettazione della perdita, l’apertura all’altro e la capacità di trasformare il dolore in cultura, arte, memoria, legami, leggi condivise. Il cristianesimo è l’annuncio che la morte è vinta dall’esperienza di Gesù ed è superata da un atteggiamento di amore verso il mondo e verso tutti. Dunque, il cristianesimo è nella sua più autentica essenza un’esperienza di pace, la più sana elaborazione simbolica del lutto (qui sta la radice di una attualissima interpretazione della liturgia eucaristica). Se il cristianesimo diventasse connivente con dinamiche di guerra, ovvero se si nutrisse di odio e di violenza, avrebbe perso la sua radice e la sua ragione di essere. Ecco perché l’invito di Papa Leone a far diventare ogni comunità una “casa della pace” è così decisivo per il cristianesimo di oggi, ne va della possibilità stessa di continuare ad essere una buona notizia per il mondo.