Dio, castigo e colpa
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
Alla fine del 1800 un pittore spagnolo, Joaquin Sorolla, racconta di essere su una spiaggia e, a un certo punto, vede una scena che lo impressiona tanto: dei ragazzini disabili che facevano il bagno in mare e ad accudirli un prete. Ne fece un quadro con il titolo “triste eredità”. Questo dipinto venne conosciuto, però, da molti con un’altro titolo: “I figli della colpa”. Questo fatto è estremamente sintomatico, un modo di vedere la disabilità come l’effetto di una colpa, di un peccato. In molte culture, soprattutto contadine, in modi dialettali diversi, la persona disabile viene indicata come “toccato da Dio”, un onnipotente che fa pagare in questo modo una colpa propria o altrui. Nella Bibbia ci sono esempi che descrivono questo concetto: Dio parla a Mosè dicendo: «Parla ad Aaronne e digli: “Nelle generazioni future nessuno dei tuoi discendenti che abbia qualche deformità si avvicinerà per offrire il pane del suo Dio. (Levitico, 21,17-20). Nella tradizione talmudica, si fa più esplicita l’indicazione della disabilità legata al peccato sessuale che l’ha generata, un lascito che è stato assunto anche da tanta “cultura” cristiana. Nella Grecia antica il portatore di handicap era il capro espiatorio di molte situazioni in quanto mandato apposta dal dio di turno in una comunità di persone come castigo… come poteva la cultura classica della polis, in una società tesa alla perfezione del corpo, accettare il brutto, il deforme, l’invalido? Nel mondo romano non era diversa l’esclusione dell’handicap, lo stesso Seneca, che pure ci ha lasciato pagine memorabili sulla fratellanza umana, ebbe ad affermare: “soffochiamo i feti mostruosi, e anche i nostri figli se sono venuti alla luce minorati e anormali, li anneghiamo, ma non è ira, è ragionevolezza separare gli esseri inutili dai sani” (De ira). Molto spesso, quindi, Dio, colpa e peccato si intrecciano nel confezionare una tragedia per l’uomo. Purtroppo, questa impostazione è ancora presente ancora oggi: se non sfatiamo questi miti arcaici non potremmo mai essere liberi per poter vivere la disabilità come un fatto e non come un castigo.