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In cammino con la Parola
Pubblicato il Luglio 11, 2025

I precetti del Signore fanno gioire il cuore

Commento al Vangelo di domenica 13 luglio

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».

Commento

A cura di Rosalba Manes consacrata ordo virginum e biblista

Sentire l’altro

Nella XV domenica del Tempo Ordinario, Luca ci presenta il tranello che un dottore della Legge tende a Gesù ponendogli una domanda insidiosa: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù evita il tranello chiedendo al suo interlocutore di riflettere sul cuore della Legge e di riflettere sul proprio modo di leggerla e interpretarla. La risposta del dottore della Legge non tarda ad arrivare: l’esperto conoscitore delle Scritture di Israele tesse sapientemente i due comandamenti dell’amore a Dio (Dt 6,5) e dell’amore al prossimo (Lv 19,18), meritando la lode di Gesù. Se l’amore è il cuore della Legge, chi vive amando Dio e il prossimo può di certo gustare la vita eterna. La questione sembra risolta quando il dottore della legge per giustificarsi denuncia la difficoltà di individuare chi sia il suo prossimo… Gesù allora ricorre ad un racconto parabolico per indurre il suo interlocutore a convertire il proprio modo di pensare. Gli racconta la disavventura di un uomo che, dopo essere stato aggredito dai briganti lungo la strada, viene privato dei suoi beni e lasciato mezzo morto. Questo corpo spogliato e ricoperto di ferite è il protagonista del set che Gesù allestisce: una strada deserta macchiata dal sangue di un uomo abbandonato al suo destino. Per quella strada si trova a passare prima un sacerdote e poi un levita. Entrambi però non attuano nessuna operazione di soccorso, fingendo di non vedere il malcapitato. In forza delle loro mansioni di ministri del sacro infatti si sentono esonerati dal venire in contatto con le ferite di quell’uomo che potrebbero contaminarli e compromettere il loro servizio cultuale. Il loro ossequio alle prescrizioni rituali li porta a sperimentare un’antitesi tra il servizio a Dio e il servizio ai fratelli.

Dopo il rapido passaggio del sacerdote e del levita, ecco sopraggiungere un samaritano, un uomo che gli ebrei reputano un eretico e un impuro e che invece possiede quella libertà che sola rende l’uomo simile a Dio e capace di offrirgli un culto genuino. Come il sacerdote e il levita, il samaritano vede ma, diversamente da loro, la sua vista non è offuscata da prescrizioni soffocanti. I suoi occhi vedono non solo un uomo ferito, ma un uomo che ha urgente bisogno dell’intervento di qualcuno che lo salvi dalla morte e lo restituisca alla vita. Ciò che contraddistingue il vedere del samaritano da quello del sacerdote e del levita è un moto interiore, profondo, viscerale che rimanda alla capacità di vestire i panni dell’altro immedesimandosi con ciò che questi prova e soffre. È la compassione infatti il motore del suo pronto intervento. Il samaritano sente che la scena che passa sotto i suoi occhi è un evento concreto che invoca tenerezza e coinvolgimento, che invita a muoversi e rimboccarsi le maniche: la vita del fratello indifeso grida, invoca il proprio coinvolgimento e ricorda a tutti che per dirsi uomini bisogna avere a cuore l’uomo. È la compassione che produce prossimità e la prossimità si muta in cura, in liturgia di soccorso premuroso che non si limita all’immediato ma si fa lungimiranza. Il samaritano non solo tampona e fascia le ferite, ma si prende cura della vita di quello sconosciuto portandolo in un albergo, curandolo fino all’indomani quando, prima di riprendere il suo viaggio, lo affida all’albergatore pagando per lui il necessario e coinvolgendo nella sua speciale pastorale anche quest’ultimo che viene incaricato di protrarne le cure. L’amore è un fuoco che appicca il cuore di chi lo sceglie come stile e che contagia anche chi gli sta intorno. È l’amore che rende prossimi. Eredi della vita di Dio si diventa pertanto non selezionando chi amare, ma lasciando che il cuore si dilati fino a “sentire” l’altro e a “sentire” con l’altro.

L’opera d’arte

Jacopo Dal Ponte detto il Bassano, Il buon samaritano (1562-63 circa), Londra, National Gallery. Con la raffigurazione della parabola del buon samaritano si cimentò più volte Jacopo Dal Ponte, detto il Bassano dalla città natale, oggi considerato uno dei più originali artisti nel panorama del Cinquecento veneto. La versione qui a fianco appartiene alla fase in cui il pittore, influenzato dalle ricerche luministico-chiaroscurali di Tintoretto, si dedicò a soggetti di ispirazione biblico-pastorale. E’ così che la parabola è ambientata in un paesaggio veneto – con la città di Bassano del Grappa sullo sfondo – dove il samaritano è intento a risollevare il viandante, dolorante e seminudo, per caricarlo sul cavallo a lato. Dall’otre, posto in primo piano, si intuisce che il soccorritore ha versato olio e vino nelle ferite avvolte da fasce; parte del liquido, fuoriuscito e caduto a terra, è leccato dai cani a destra, dipinti con un’attenzione al vero tipica dello stile del Bassano. A sinistra, lungo un sentiero che procede verso il fondo, si allontanano, indifferenti, due figure riconoscibili dal racconto evangelico: il levita, mentre legge il suo “breviario”, e il sacerdote.

V.P.

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