Sono certo di contemplare la bontà del Signore nella terra dei viventi
Commento al Vangelo di domenica 2 novembre
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Commento
A cura di Padre Pasquale Cormio
Creati per la vita eterna
Il giorno in cui la Chiesa commemora tutti i fedeli defunti non è solo segnato dal ricordo e dal dolore per i nostri morti, ma un’occasione per trovare consolazione nella fede e nella speranza cristiana. In ogni celebrazione eucaristica la comunità cristiana confessa la resurrezione di Gesù Cristo, pregando per i vivi e per quanti già dormono il sonno della pace. Con realismo sant’Agostino ricorda ai fedeli la misera condizione dell’uomo e come il desiderio di felicità, riposto solo nel tempo presente, sia destinato a naufragare: “Noi desideriamo la vita, non l’otteniamo perché destinati a morire e, proprio per questo, siamo tanto più disgraziati” (disc. 229/H, 2).
La vita non può essere determinata né dal caso né da un destino irrevocabile, ma si volge verso un orizzonte di eternità: “È venuto il Signore nostro Gesù Cristo ed è come se ci avesse parlato così: Di che cosa avevate paura, o uomini che io ho creato e che non ho abbandonato? Ecco, muoio io; ecco, patisco io; ecco, quel che temevate non temetelo più, perché io vi faccio vedere quel che dovete sperare. Egli ha fatto proprio così, ci ha fatto vedere la resurrezione verso l’eternità” (disc. 229/H, 3). La centralità della fede nel Risorto sostiene la virtù della speranza: Cristo, infatti, “è risorto per darci un motivo di speranza, affinché, essendo destinati alla morte, non disperassimo e non pensassimo che con la morte la nostra vita è totalmente finita” (disc. 261, 1). La vita, dono di Dio, non si perde con la morte, ma è trasformata: siamo stati creati per diventare cittadini di una dimora eterna nel cielo. Questa finalità orienta le scelte del tempo presente: “Voi vivrete in eterno, se sarete vissuti bene” (disc. 229/H, 3). Vivere bene oggi, per godere in eterno Dio!
La Sacra Scrittura aiuta a percepire il senso cristiano della morte. Un disegno di Dio attraversa l’intera storia della salvezza: dalla creazione dell’uomo sino all’incarnazione del Figlio di Dio, dalla sua morte e resurrezione fino alla vita eterna di ogni credente. Non si dà vita beata senza il carattere dell’eternità. E, seguendo l’ispirazione dell’evangelista Giovanni, per vita eterna si deve intendere la conoscenza del mistero che avvolge il Padre e il Figlio, la loro relazione di amore e di comunione reciproca che è comunicata agli uomini: “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv 17, 3). Il verbo conoscere, più che a un apprendimento di tipo cognitivo o intellettuale, rimanda alla comunione vitale con Dio, alla visione divina che, per sant’Agostino, dispone l’uomo alla lode senza fine: “Se la vita eterna è conoscere Dio, tanto più tendiamo verso la vita quanto più progrediamo nella conoscenza di Dio. Nella vita eterna non moriremo: la conoscenza di Dio sarà perfetta quando la morte non ci sarà più. Allora Dio sarà sommamente glorificato” (Comm. al Vangelo di Giovanni 105, 3).
Il brano evangelico di questa domenica è incentrato sulla volontà benevola del Padre, che invia il Figlio nel mondo per renderci partecipi della sua stessa vita. Non è dunque la morte a pronunciare l’ultima parola sulla storia del mondo, ma Dio per mezzo del suo Figlio. E la parola del Figlio svela il volere del Padre: che tutti siano salvati, perché il Figlio non può perdere nessuno di quelli che il Padre gli ha affidato. Egli è il pane di vita disceso dal cielo, che comunica la stessa vita di Dio. Il potere di Dio, infatti, è di dare la vita, non di toglierla; la sua azione è di recuperare, come fa il buon pastore, chi si è allontanato dalla fede per riportarlo al Padre. Chi crede alla parola del Figlio e vive in comunione con Lui, già sperimenta in anticipo gli effetti della resurrezione definitiva.
Sant’Agostino esprime questo desiderio del cuore a conclusione delle sue Confessioni, quando interpreta il riposo di Dio, dopo la creazione dell’uomo, come prefigurazione della quiete definitiva che l’uomo raggiungerà non dissolvendosi nella polvere di morte, ma vivendo in comunione con il Dio vivente: “Signore Dio, donaci la pace, la pace del riposo, la pace del sabato, la pace senza tramonto… Noi pure, dopo compiute le nostre opere, buone assai per tua generosità, nel sabato della vita eterna riposeremo in te” (Conf. XIII, 35.5036.51). La nostra fede è fondata su questa certezza: Dio, amante della vita, prepara per noi una beatitudine e una pace senza fine, quando “Egli asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate” (Ap 21, 4).
L’opera d’arte
Ferdinand Georg Waldmüller, Il giorno di Ognissanti (1839), Berlino, Alte Nationalgalerie. Quest’opera di Waldmüller, uno dei più importanti pittori austriaci dell’800, mostra due donne, vestite a lutto, probabilmente madre e figlia – o comunque legate da parentela – per la somiglianza dei loro visi, che spuntano sotto cuffie nere ornate di pizzo. Le mani della madre sono giunte, in atteggiamento di preghiera, mentre la figlia legge un libro, si può pensare alla Bibbia. La tomba su cui sono inginocchiate è ornata, con cura, di fiori variopinti e rigogliosi, che suggeriscono si tratti della sepoltura di una persona cara.
Al confronto, le tombe sullo sfondo appaiono fredde e grigie, con le loro lapidi di marmo. Il terreno intorno alle tombe è spoglio, come se il tempo si fosse fermato nel cimitero. Il dipinto, seppure non presenti rimandi espliciti ad una dimensione ultraterrena, si caratterizza per l’enfasi data alle due figure femminili, luminose nonostante il lutto, e sui loro sentimenti, che si potrebbero definire, citando “Dei Sepolcri” di Ugo Foscoli, come “celeste corrispondenza d’amorosi sensi” che unisce i vivi e i defunti.
V.P.




