Canalchiaro 149, trasformare l’acqua in vino: teologia, filosofia, saperi
La prolusione del domenicano Marco Salvioli ha aperto l’anno accademico dello Studio Teologico Interdiocesano
di Andrea Romoli, Seminarista – Seminario di Modena e Carpi
Il gioco è il modo con cui il bambino interpreta il reale abitandolo. Anche il pensare può essere considerato un gioco e la prolusione, come indica la parola proludere da cui proviene, è ciò che può riaprire il “gioco del pensare” all’interno di una comunità accademica. Questo è quanto abbiamo cercato di fare noi come comunità dello Studio Teologico Interdiocesano nella giornata di mercoledì grazie all’intervento del prof. Marco Salvioli, domenicano e docente di antropologia filosofica e teologia fondamentale presso lo Studio filosofico domenicano di Bologna.
“Gaudium de veritate” affermava san Tommaso D’Aquino: conoscere la verità, ricercare la sapienza è un esercizio piacevole di per sé perché ci aiuta a riscoprire la nostra vera umanità. A volte ci chiediamo a che cosa serva studiare ma lo studio non deve avere per forza una ricaduta utilitaristica. Nell’enciclica Veritatis Gaudium papa Francesco prende come criterio prioritario e permanente per lo studio teologico la contemplazione. La contemplazione cristiana, lungi dall’essere autoreferenziale e chiusa in se stessa, deve esprimersi con ridondanza e generare condivisione. In essa gli altri sono sempre inclusi in una circolarità di relazione e da questo nasce anche il valore della condivisione dei saperi.
Alla luce di ciò, guidati dal prof. Salvioli, abbiamo provato dunque a riflettere sul rapporto tra teologia, filosofia e altri saperi. Il sapere che procede gratuitamente da Dio può essere attinto dalla sola conoscenza delle Scritture o serve l’apporto della filosofia e dei saperi umani? Non c’è il rischio, così facendo, di annacquare e indebolire la verità salvifica rivelata? Siamo in fin dei conti abituati a pensare “la teologia” e “la filosofia” come discipline e blocchi fra loro separati; in realtà il pensare è l’incontro tra la rivelazione e l’intelligenza umana nell’atto di fede viva in ordine al fine ultimo.
Rivelazione e intelligenza non sono dunque in antitesi ma possono essere integrate e ritrovare la loro unità nell’atto di fede viva, in cui la conoscenza umana viene valorizzata e perfezionata nell’orizzonte del fine ultimo. San Tommaso ci ricorda che questa operazione non significa tanto mescolare i vari saperi quanto trasformare, sull’esempio di Cana, l’acqua in vino. Il Signore chiede ai suoi servi di riempire prima le loro giare con l’acqua, solo dopo avviene il mira-colo della sua conversione nel vino dell’intelligenza spirituale. Non è dunque un miracolo che avviene senza la nostra collaborazione. In quest’orizzonte lo studio della filosofia è conoscere l’acqua dalla quale Dio vuole procedere per compierlo. La grazia non distrugge la natura ma la porta a perfezione. Chi cerca la verità cerca Dio.
Bisogna però stare attenti, una volta ottenuto il vino, a non farlo ridiventare acqua, il quale sarebbe un pessimo miracolo! San Bonaventura in tal senso ci mette in guardia dal rischio di ridurre la rivelazione alle nostre categorie filosofico-scientifiche. Non bisogna voler provare la fede tramite le scienze umane, la filosofia non può intervenire all’interno della rivelazione per ridurre la teologia a sé perché l’orizzonte rivelato può essere accolto solo per fede. Non è tanto la questione dei metodi e dei saperi dunque ad essere diminuente, ma il valore che diamo alla fede nello sviluppo del pensiero.
San Bonaventura e Tommaso, per quanto abbiano posizioni differenti, appartengono a quella scuola scolastica medievale in cui non troviamo una divisione eccessiva fra discipline. Nella teologia medievale è infatti ancora possibile custodire l’unità dei saperi per cercare di integrarli a pieno in uno sguardo capace di includere ed elevare. Oggi assistiamo invece ad una vasta frammentazione e disgregazione, a causa dell’iperspecializzazione dominante del nostro sistema formativo e culturale, che ricerca soprattutto nell’ottica produttiva il vantaggio dell’efficienza. È ancora possibile dunque custodire l’unità? Come poter affrontare nel nostro contesto contemporaneo questa sfida?
La Teologia può essere il principale sostenitore della comunicazione e unità dei saperi, perché la fede può sostenere che tutto procede da Dio e tutto a Dio ritorna. Così facendo sostiene la speranza di poter avere una conoscenza viva, nutriente e vitalizzante. Dio, nella sua condiscendenza, ha assunto le parole degli uomini per donarci la sua Parola. Compito nostro è rendere accessibile quella Parola ad altri contesti, non annacquandola ma rendendola un vino assimilabile. A partire dall’altro, dall’acqua, non dal nulla; perché il Signore è già all’opera per mezzo del suo Spirito nei vari contesti e saperi che noi incontriamo. È necessario quindi ritrovare un ascolto e una valorizzazione dell’opera di Dio ovunque.
In fin dei conti l’intelligenza umana è anch’essa opera di Dio e partecipa dell’intelligenza divina. Nessuna falsità è talmente falsa da non contenere almeno una scintilla di verità, l’unico punto di discontinuità e limite in tal senso è il mistero del male. Anche se spesso si assiste a un disprezzo della verità e a un disamore per la conoscenza (pensiamo alle fake news o al fenomeno delle polarizzazioni aggressive), la ricerca di un’armonizzazione dei saperi e di un punto di vista unitario non è impresa vana ma una sfida “in uscita” che necessita più che mai di essere colta dalla nostra Chiesa di oggi.




