Terzo millennio: l’uomo dialoga con i COBOT
Il COBOT è un termine composto formato da due parole: Robotica Collaborativa, per chi ama l’inglese, “collaborative robot” che come si nota è formato dalla parte iniziale di collaborazione e robot. È una tecnologia innovativa che l’uomo ha sviluppato grazie all’utilizzo della intelligenza artificiale e alla presenza di una enorme disponibilità di dati che opportunamente organizzati consentono di simulare il comportamento dell’uomo in determinate attività ripetitive con la massima precisione. Il COBOT, diversamente dai robot, che fecero la loro prima apparizione alla fine degli anni Novanta, e operavano in forma autonoma con sistemi di protezione verso l’uomo, sono dotati al proprio interno di sensori che permettono al dispositivo di collaborare con l’uomo, senza “filtri”, senza tutela. Un vantaggio imprescindibile per l’uomo che si può avvicinare alla macchina e intervenire in tempo reale sulle attività programmate.
Il terzo millennio è in grado di esprimere una nuova forma di linguaggio analogico-digitale utilizzato dai “robot conversazionali” per dialogare alla pari con l’uomo e migliorare, non solo l’efficienza produttiva ma di suggerire, in determinati contesti, soluzioni migliorative per la produzione e la qualità dei prodotti realizzati e servizi erogati. L’uomo, fin dalle sue origini, ha adottato comportamenti orientati alla collaborazione e utilizzava i diversi tipi di linguaggio per mettere in atto fattori comuni. Ora l’uomo dialoga con la macchina nella “illusione” che la macchina utilizzi lo stesso linguaggio ed entrare anche in “confidenza”. Cosa significa collaborare? Anche in questo caso siamo di fronte ad una parola composta formata da con e labōrare che significa lavorare insieme. Per farlo serve adottare un linguaggio che consenta ad entrambi di comprendere il dialogo che avviene durante la conversazione.
Il COBOT, oltre ai sensori, è una macchina intelligente programmata con tantissime parole memorizzate in grandi archivi e grazie ad un programma – algoritmo – è in grado di “simulare” il parlato dell’uomo con risposte dotate di senso. L’uomo chiede alla macchina di realizzare un determinato compito e questa, compreso le attività che deve svolgere, inizia il proprio lavoro. Questa premessa ci porta ad intendere che per dialogare occorre condividere il linguaggio il quale è composto da segni, quelli della lingua parlata, “analogica” e “digitale” utilizzata dal robot, che entrambi devono conoscere. L’esecuzione dipende dalla modalità con la quale l’uomo “ordina” alla macchina di eseguire un preciso compito, da cui discende una risposta attesa congrua alla richiesta. La riflessione che desidero ora instaurare con il lettore segue un orientamento diverso rispetto ad una analisi riferita alla organizzazione del lavoro che cambia quando nelle imprese sono presenti i COBOT.
Lo sguardo poteva essere orientato alle scienze umanistiche o sociali, ambire alla profondità della tecnologia o transitando per la filosofia. Il richiamo alla semiotica è un nuovo punto di osservazione per cercare di comprendere, da un’altra prospettiva, forse meno perlustrata, come avviene la relazione uomo–robot. La semiotica potrebbe diventare una nuova porta d’ingresso per affrontare in diversi la questione, il dialogo uomo-macchina. Come mai questa analisi? Per affrontare qualsiasi tema è necessario sempre definire il contesto e il nostro è la collaborazione: uomo-robot. La semiotica è una disciplina che studia i segni e il modo con il quale questi si mettono in relazione per ottenere un discorso a cui afferiscono comportamenti dotati di significato. In aggiunta ci aiuta a comprendere e definire il luogo in cui avviene il dialogo, in questo caso potrebbe essere una impresa oppure un laboratorio.
Lo statunitense Charles Sanders Peirce per spiegare, e rappresentare facilmente cosa s’intende per semiotica, ha utilizzato un triangolo dove ogni lato ci guida, e rappresenta, ogni cosa che mettiamo in atto che sia dotata di senso. Un lato è il significante, che rappresenta ciò che l’uomo “percepisce” con i sensi, la vista, l’udito. L’altro lato è il significato, ovvero “l’immagine” che l’uomo ha quando osserva la realtà. L’altro è la realtà. Il dialogo uomo–robot si sviluppa grazie alla relazione che ogni lato ha con gli altri. L’uomo chiede al robot una determinata attività e la macchina “percepisce” da un lato grazie ai sensori, e “comprende” dall’altro grazie alla intelligenza artificiale che le azioni che dovrà mettere in pratica. Per l’uomo è naturale e per la macchina? L’illusione nasce in questa circostanza pensando che anche il robot possa disporre di questa straordinaria capacità.
L’uomo ci sorprende nella continua ricerca scientifica e, in questo caso, riuscendo a “plasmare” la macchina a sua immagine e somiglianza, inserendo i sensori che al pari degli organi di senso possano “sentire” ogni stimolo proveniente dall’esterno e agire in simbiosi avendo acquisito le regole grammaticali con le quali costruire un dialogo dotato di senso. Un COBOT è una sorta di “umanoide” che si muove con uno o più braccia per collaborare alla pari. Penso che sia ancora molto lontano il giorno il cui anche i robot avranno un’anima e lo spirito per elevare il COBOT a Human COBOT.
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