Il
Etica della vita
Pubblicato il Giugno 12, 2024

Il vero dottore ha sofferto prima di te

Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon

Constatando la puerile indisponenza di molti giovani medici, basata su una tronfia saccenza tecnica, ci chiediamo come dovrebbe essere una formazione che insegni ad ovviare questi atteggiamenti. La risposta arriva dalla Repubblica di Platone nella quale leggiamo: “i medici sarebbero veramente perfetti, se fin da fanciulli, oltre che apprendere la loro arte, prendessero in cura gran numero di corpi in gravi condizioni; anzi, essi stessi potessero contrarre ogni sorta di malattie, e non godere affatto di una sana costituzione. In effetti, Io credo, non è con il corpo che curano i corpi… ma con l’anima, la quale non può curare con successo qualcosa se è essa stessa cattiva o lo è diventata”.

In buona sostanza Platone comprende che il medico deve essere empatico, una empatia che parte dal vissuto del proprio dolore. Tolstoj scriveva: “i medici sono utili non tanto per il fatto che ci fanno inghiottire ogni possibile sostanza, ma perché corrispondono a un bisogno spirituale del paziente: l’eterno bisogno di speranza, di simpatia e di sollievo di cui un uomo che soffre ha estremo bisogno”. La formazione, quindi, per il medico, oltre ad una adeguata preparazione tecnica, deve prevedere un vissuto che faccia maturare una sapienza, la quale rende umano ciò che di tecnico viene fatto ad un’altra persona. Alcuni pensano che la parte relazionale, principio basilare del vissuto squisitamente umano, dovrebbe essere cancellata, per questo la “persona malata” deve diventare “paziente”, un corpo inerme alla mercé dell’altro, un mero oggetto da analizzare senza la minima convergenza di emozioni e sentimenti: l’operato del professionista deve essere assolutamente neutro.

Chiaramente questa impostazione mi trova in assoluta discordanza in quanto concordo con Platone e con una visione olistica dell’uomo. Il medico non cura un ammalato in astratto ma un uomo concreto all’interno di una sua vita concreta che sta vivendo in un modo concreto. La formazione del professionista in medicina deve partire, allora, da una vita che porta già in sé delle cicatrici, segno di un’esperienza umana che deve essere ricordata e rammentata tutte le volte che il dottore ha a che fare con un altro sofferente. Credo che, in Italia, tutto questo già lo possediamo naturalmente, patrimonio che alberga all’interno della nostra ricchissima umanità; non buttiamolo e nemmeno facciamoci influenzare da modelli di medicina lontani dalla nostra umanità tipicamente italiana, che ha dato fior di medici, come il professore e santo Giuseppe Moscati.

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