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  • Saziaci,
    In cammino con la Parola
    Pubblicato il Ottobre 9, 2024

    Saziaci, Signore, con il tuo amore: gioiremo per sempre

    La diocesi di Carpi legge il Vangelo - Vangelo di domenica 13 ottobre 2024

    Dal Vangelo secondo Marco

    In quel tempo, mentre Gesù andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: “Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre”». Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza». Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!». Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!». I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio». (…)

    A cura di Suor Alfonsina Lepore, Consiglio missionario diocesano, Suore Oblate di Maria Vergine di Fatima

    Lectio

    Il brano di questa domenica riguarda il problema fondamentale dell’uomo: ereditare la vita eterna, salvarsi. Il racconto si divide in tre scene. La prima ci presenta un ricco, che oltre alle buone intenzioni per entrare nel Regno, sembra avere tutti i requisiti di virtù. Tranne però quello fondamentale, che è amare Dio e i fratelli. Gesù cercherà di aiutarlo nel discernere ciò che è importante nella sua esistenza, cioè di scegliere l’unica cosa buona che è Dio. Alla fine il legame reale del cuore vincerà, i beni vinceranno sul Bene; così invece della gioia di chi ha trovato il tesoro, questo “tale”, che ha tutto ma non ha un nome, troverà la tristezza di chi ha perduto la vita!

    La seconda scena ci presenta la costernazione dei discepoli: tutti siamo troppo grandi, troppo ricchi di noi stessi per entrare nel regno dei piccoli. Riconoscere questa impossibilità ci rende piccoli e quindi potenziali eredi del Regno. La terza scena ci presenta invece Pietro meravigliato della salvezza, perché riconosce che loro sono riusciti a fare quel passo, perché hanno scoperto il tesoro inestimabile per il quale si lascia tutto. Il discepolo è colui che nello sguardo e nella chiamata di Cristo ha scoperto l’unico bene. Conquistato dal Signore, come dirà anche Paolo, lascia perdere tutto e corre per conquistarLo (Fil 3,8.12)

    Meditatio

    Il protagonista del brano non ha un nome, viene indicato con un pronome indefinito: un tale come se non avesse un’identità. Ha passato la vita a fare quello che gli altri gli hanno suggerito o insegnato. Ha ripetuto o portato avanti meticolosamente quello che si deve fare, quello che fanno tutti. Ha cercato di imitare le persone perbene, coloro che osservano la legge di Dio. Eppure si è scontrato con lo scandalo dell’infelicità: nonostante i suoi sforzi di volontà, nonostante i suoi sacrifici, non è arrivato a essere felice, non ha trovato la vita eterna, cioè la vita piena.

    Va da Gesù probabilmente per carpire un ulteriore consiglio, forse un segreto, qualcosa in più da eseguire. Si rivolge infatti a Gesù chiamandolo maestro. Di fatto non gli interessa la relazione con Lui, ma solo la sua saggezza. Mette davanti a Gesù i suoi trofei, le sue ricchezze, i suoi successi, forse anche i suoi sacrifici. Al contrario Gesù gli indica una direzione diversa in cui guardare: Gesù guarda dentro di lui. Il verbo usato da Marco non è infatti un fissare, ma letteralmente un guardare dentro. E nell’interiorità di quest’uomo, Gesù vede probabilmente la fragilità che nasconde, la sua debolezza, ma soprattutto il suo desiderio di essere amato. E guardandolo dentro, Gesù lo ama. È la risposta a quello che cerca. E Gesù lo ama a prescindere, lo ama prima che abbia accettato o meno la proposta che gli farà. È bello pensare che Gesù fa così con tutti noi, ci guarda dentro e ci ama a prescindere dai nostri successi o dai nostri errori.

    Gesù aiuta quest’uomo a percorrere un cammino di discernimento: gli suggerisce dei verbi che possono trasformare la sua vita e portarlo verso quella felicità che sta cercando. Lo invita a vendere e a dare, cioè a non attaccarsi a quello che ha, a non lasciarsi bloccare dalle sue false sicurezze, lo invita a liberare il cuore, solo così infatti può scoprire quello che desidera veramente. L’altro verbo fondamentale che Gesù gli suggerisce è un invito: seguimi! Gesù gli propone una relazione. Quest’uomo però, come molte volte anche noi, non ha il coraggio di rischiare. E proprio per questo motivo non si lascia amare. Se ne va e rimane non solo triste, ma anonimo: solo quando ci lasciamo amare, infatti, ci sentiamo chiamare per nome da qualcuno.

    L’incontro di Gesù con quest’uomo diventa però l’occasione anche per i discepoli per svelare quello che si portano nel cuore: Gesù guarda dentro anche loro (il testo usa lo stesso verbo con il quale indicava l’azione di Gesù verso quest’uomo senza nome). Ciò che viene fuori è che in fondo anche i discepoli, cioè anche coloro che stavano già seguendo Gesù, in realtà non hanno mai lasciato veramente quello che possedevano: le loro ragioni, le loro aspettative, le attese, le pretese… Si può seguire Gesù, ma avere il cuore altrove. E per questo, anche come discepoli di Gesù, a volte rimaniamo tristi, perché il cuore è occupato da altro e non ci lasciamo amare fino in fondo. Lasciarsi amare è sempre un rischio, perché occorre fare spazio allo sguardo di un altro. Il cammino dietro a Gesù è un cammino progressivo di liberazione fino a quando, finalmente, potremo attraversare la cruna dell’ago!

    Contemplatio

    “Compresi che la Chiesa ha un corpo composto di varie membra, ma che in questo corpo non può mancare il membro necessario e più nobile. Capii che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore, gli apostoli non avrebbero più annunziato il vangelo, i martiri non avrebbero più versato il loro sangue. Allora con somma gioia ed estasi dell’animo gridai: O Gesù, mio amore, ho trovato finalmente la mia vocazione. La mia vocazione è l’amore. Sì, ho trovato il mio posto nella Chiesa, e questo posto me lo hai dato tu, o mio Dio. Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore ed in tal modo sarò tutto e il mio desiderio si tradurrà in realtà”. (Teresa di Lisieux, Storia di un’anima, Manoscritto B, 250-255)

    Fractio

    “Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò” (v. 21). Lasciamoci guardare da Gesù, lasciamo che il Suo Amore penetri in noi fino alle “fino alle giunture e alle midolla” (Eb 4, 12); solo così potremmo rispondere prontamente alla Sua chiamata e realizzare ogni nostro desiderio.

    L’opera d’arte

    Cristo Pantocratore (1180 ca.), Duomo di Monreale (Palermo). “Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò…” (Mc 10,21). Il Cristo Pantocratore (“che tutto domina”) di Monreale sembra accompagnare con lo sguardo il visitatore, qualunque sia la direzione verso cui si muove all’interno della chiesa. Un edificio grandioso fatto costruire da Guglielmo II d’Altavilla, re di Sicilia, tra il 1172 e il 1176, sintesi tra elementi di derivazione transalpina, bizantina e islamica, a rappresentare la compresenza di culture diverse nella Sicilia medievale. Le superfici del Duomo sono ricoperte di raffinati mosaici – recentemente restaurati che raccontano la storia della salvezza attraverso scene del Vecchio Testamento e della vita di Gesù.

    Nel catino absidale, l’imponente Pantocratore splende nella sua divina regalità evocata dallo sfondo dorato. E’ il centro verso cui deve tendere ogni uomo: tornano alla mente le parole del Beato Giuseppe “don Pino” Puglisi che, quando parlava ai giovani universitari di Palermo della vocazione dell’uomo, invitava ciascuno a immaginare il proprio volto personale come uno dei tanti variopinti vetrini che compongono, nell’abside maggiore del Duomo di Monreale, il grande volto del Cristo.

    V.P.

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