Un
Chiesa, Editoriali
Pubblicato il Aprile 9, 2025

Un santo olio per rafforzare il futuro

Dalla Messa Crismale “unificata”

di Mons. Ermenegildo Manicardi, Vicario generale

Mercoledì Santo nella Cattedrale di Carpi si vivrà una liturgia che non è affatto esagerato definire «storica». Per la prima volta la Basilica della Madonna Assunta, che corona la celebre piazza della città, accoglierà la celebrazione della Messa Crismale per le diocesi di Carpi e di Modena-Nonantola. In questo modo si manifesterà al massimo livello che ormai le due Diocesi sono affidate a un unico Vescovo, don Erio. La Messa Crismale, celebrata una sola volta nell’anno, è collocata in vicinanza del Triduo pasquale. Essa è il segno che una Chiesa, guidata da un unico Vescovo, vive dell’amore del Padre che, attraverso il mistero della morte e risurrezione di Gesù, ci trasmette nei sacramenti il dono supremo dello Spirito Santo, Spirito del Padre e del Figlio.

La Messa Crismale 2025 sarà decisiva per la vita delle chiese di Modena-Nonantola e di Carpi. Le due diocesi, infatti, si troveranno unite non solo dall’impegno pastorale di don Erio, ma sperimenteranno di essere entrambe nell’unica corrente di uno stesso torrente di grazia. Tutte e due vivranno, per tutto l’anno, dei Santi Oli contenuti negli “unici” vasi sacramentali, consacrati in un’unica azione comune, mercoledì prossimo, a Carpi. La stessa Crismale sarà così il sigillo della primissima fase dell’unificazione delle due Diocesi chiesta dalla Santa Sede. Lentamente il processo sta entrando nel vivo. Sono stati fatti dei primi passi per pensare, come si dice nel linguaggio giuridico, l’unificazione dei due enti-diocesi. Si tratta di un cammino importante, anche se l’aspetto decisivo sarà l’unificazione concreta della comunione delle due Chiese-diocesi, in vista di un’unica evangelizzazione e di una coerente missione pastorale che colleghi organicamente il meglio dei due vissuti specifici, prima separati.

Ormai occorreranno passi molto più coraggiosi anche perché si notano incipienti, possibili disagi. Il cammino fatto finora ha visto in campo, per ora, solo qualche autorevole ecclesiastico e qualche laico di accompagnamento e qualcuno comincia a desiderare una partecipazione meno simbolica e, come si dice, più “dal basso”. La futura unificazione ha bisogno di una intensa collaborazione, certo dei sacerdoti, ma occorre anche che il laicato dia il suo apporto con la propria fantasia specifica. Senza un’intelligente partecipazione di “tutti” i ministri ordinati non si arriverebbe mai all’unità ecclesiale, ma senza la fantasia di molti laici – che, per esempio, nei loro figli hanno in casa un futuro non sempre facilmente leggibile – il rischio di un’impostazione clericale sarebbe a fatica evitato. La stessa cosa vale per la partecipazione delle donne, che non deve limitarsi alle alcune inserite già organicamente nell’antica pastorale. Per ora si muovono solo le due linee amministrativa e dell’organizzazione pastorale, mentre non è stato possibile pensare qualcosa di operativo a livello di fragilità, carità, dialogo ed ecumenismo.

Ci si può chiedere: è proprio impossibile coinvolgere i fratelli delle Chiese dell’ortodossia con cui già condividiamo l’uso di alcune nostre strutture? E si può unificare l’evangelizzazione senza una consapevolezza del consistente orizzonte dei «nuovi cittadini», delle loro istituzioni (più o meno pubbliche) e delle loro molte culture e religioni? Davvero basta per il futuro il catechismo dei “nostri” bambini? Non dovremmo affrettarci a responsabilizzare quanti al nostro interno operano su questi fronti di confine, individuando pubblicamente alcune interlocuzioni esterne, forse possibili?

Senza passi di questo tipo non si va verso un vero futuro e si affoga la prospettiva della cifra – o forse meglio sarebbe dire della speranza bergogliana – di «una chiesa in uscita»? Cosa hanno prodotto i dialoghi, gli sconcerti e le discussioni dell’ultimo decennio? Rimane inoltre il non lieve problema di come articolare la futura economia dell’unica diocesi e dei suoi cinque diversissimi vicariati, due dei quali con al centro una città: la prima è la città capoluogo di provincia e la seconda una città tutt’altro che irrilevante nel panorama italiano (si consideri che Carpi è il 77° comune d’Italia, il che vuol dire che solo 76 diocesi hanno un capoluogo con una popolazione superiore, mentre oltre 150 “Chiese locali” hanno al centro una città più piccola).

Vivremo dunque una Messa crismale che sigilla importanti passaggi della nostra Chiesa (o delle nostre ex-due Chiese), ma che soprattutto ci spalanca la soglia di un futuro complesso e affascinante. Cinquant’anni fa fui ordinato presbitero in questa stessa Cattedrale. Allora eravamo a dieci anni dalla fine del Concilio, un po’ impazienti che il Vescovo Prati si decidesse a farci camminare più spediti nel post-concilio. Nessuno poteva allora immaginare gli imprevisti sviluppi dell’attuale millennio, ovvero «le vere sorprese dello Spirito» e gli inattesi «segni concreti dei tempi».

Non cesso di ringraziare il Signore delle grandi opere che ha compiuto per noi in questi decenni, non smettendo mai di svegliarci energicamente con situazioni di futuro – in prima battuta avevo scritto shock di futuro – che, al di là delle nostre fragili incertezze, ci impediscono di esser «funzionari del sacro», spaesati e superficiali operatori del Vangelo di Gesù.

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