Esercizi spirituali per le famiglie delle Diocesi di Modena e di Carpi
Alle Piane di Mocogno si sono svolti gli esercizi spirituali di Quaresima per le famiglie delle Diocesi di Modena-Nonantola e di Carpi. L’intervento dell’arcivescovo Erio Castellucci
di Claudio e Maria Chiara Cavazzuti
Foto di Marcello Testoni
Due giornate dense di ascolto, riflessione e condivisione hanno animato il 5 e 6 aprile scorsi le Piane di Mocogno, dove si sono svolti gli esercizi spirituali organizzati dalla Pastorale Familiare delle diocesi di Modena e Carpi. Un appuntamento ormai atteso, che ha visto la partecipazione di circa 200 persone, tra cui numerose famiglie con bambini anche molto piccoli, la cui presenza gioiosa ha contribuito a creare un’atmosfera di autentica familiarità, rendendo ancora più vivo il clima di fraternità.
Al centro delle meditazioni, il tema giubilare della speranza, declinato in particolare nella prospettiva della vita di coppia, quale luogo privilegiato in cui questa virtù teologale può crescere, essere messa alla prova e, infine, testimoniata.
La prima meditazione è stata affidata a don Maurizio Trevisan, codirettore dell’Ufficio Famiglia interdiocesano di Modena e Carpi, che ha introdotto il tema della speranza partendo dalla sua natura quasi “invisibile”, una realtà difficilmente descrivibile, se non da chi ne ha fatto esperienza. Don Maurizio ha tracciato un quadro lucido degli ostacoli alla speranza: dal catastrofismo, che vede solo disastri, all’atteggiamento del “pompiere”, che spegne ogni entusiasmo, fino al rimpianto continuo, alla colpevolizzazione sterile e all’autocommiserazione che paralizza. Ha poi delineato i tratti distintivi della speranza, distinguendola dall’ottimismo: essa è capacità di attesa, perseveranza nel tempo, disponibilità a soffrire. La speranza autentica, ha sottolineato, si misura nel confronto con la realtà ultima della morte, aprendosi tuttavia alla luce che la fede promette oltre quel confine.
Nel pomeriggio, il testimone è passato a don Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola e vescovo di Carpi, che ha commentato il versetto di Romani 5,5: “La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato”. Il vescovo ha offerto una riflessione raffinata, distinguendo tra illusioni, che guardano solo al futuro con desideri non ancorati alla realtà, ottimismo, che riconosce il bene presente, e speranza, che abita tutte le dimensioni del tempo: il passato della Pasqua, fondamento della fede cristiana; il presente in cui il Regno di Dio opera silenziosamente; e il futuro dell’incontro pieno con il Padre. Al centro di ogni vera speranza – ha detto – c’è l’amore: desiderio di amare e di essere amati. Come potente immagine conclusiva, don Erio ha indicato il sepolcro di Gesù come simbolo della speranza cristiana. Non lo si evita, ma lo si attraversa: è proprio da lì che filtra la luce della Risurrezione. La pietra del sepolcro, che nessuno può togliere da solo, è trasformata dalla promessa della vita nuova. Ed essere testimoni di questa speranza è la vocazione dei cristiani, in ogni stato di vita.
Domenica mattina, nella terza meditazione, don Maurizio è tornato a parlare alla luce del Vangelo proposto dalla liturgia del giorno: l’episodio dell’adultera perdonata da Gesù. Il perdono, ha sottolineato, è uno dei segni più forti della speranza all’interno della coppia. Nel brano si leggono due sguardi contrapposti: quello delle persone che portano la donna a Gesù per condannarla – che non vedono una persona, ma uno strumento per accusare – e quello di Gesù, che dal basso all’alto non giudica, ma accoglie. Gesù non condanna, ma comprende, perdona, restituisce dignità. Questo gesto di misericordia diventa paradigma della relazione coniugale: la capacità di riconoscere le fragilità reciproche, senza ergersi a giudici, ma scegliendo sempre l’amore che solleva.
Il cammino si è concluso con una celebrazione eucaristica particolarmente significativa. Durante la liturgia, tutti i presenti sono stati invitati a portare all’altare una pietra, simbolo delle offese, delle accuse, delle parole pesanti che spesso, anche inconsapevolmente, lanciamo o riceviamo nella vita quotidiana. Depositarle ai piedi dell’altare ha rappresentato un gesto di riconciliazione profonda, di disarmo, ma anche di apertura fiduciosa al perdono e alla speranza, intesi come doni da accogliere e coltivare ogni giorno.
Il clima di tutto l’incontro è stato familiare, sereno e gioioso. Ogni meditazione è stata seguita da momenti di riflessione personale e di dialogo a coppie, con la possibilità di accostarsi al sacramento della Riconciliazione.
La speranza, quella vera, non si insegna con le parole: si trasmette con la vita. E ciò che ha preso forma sulle alture di Mocogno in queste due giornate è stato proprio questo: un segno tangibile che la speranza cristiana – radicata nell’amore, nutrita dal perdono, custodita nella fragilità – è possibile, concreta, e soprattutto contagiosa.