Sinodalità.
Attualità, Chiesa
Pubblicato il Giugno 28, 2025

Sinodalità. Mons. Castellucci al Sir: “Riforma profonda della vita ecclesiale”

Dopo l'intervento di Leone XIV alla CEI riprende il Cammino Sinodale della chiesa italiana

ph Vatican Media – Sir

Riccardo Benotti

“Il percorso compiuto in questi anni ci ha aiutati a riscoprire uno stile ecclesiale più umile e disinteressato, conforme alle beatitudini”. Mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, vescovo di Carpi e presidente del Comitato nazionale del Cammino sinodale, parla del valore della sinodalità a partire dal discorso di Papa Leone XIV del 17 giugno alla Cei. Un’intervista che attraversa i temi dell’ascolto, del metodo sinodale, delle resistenze e dei frutti ecclesiali del cammino in atto.

“La sinodalità diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire”: che cosa significa per lei, oggi, tradurre questa esortazione del Pontefice nella vita concreta delle Chiese locali?
Significa fare tesoro del percorso che come Chiese in Italia abbiamo compiuto in questi quattro anni: un percorso di ascolto, confronto, discernimento ed esperienze aperte anche fuori dei confini delle nostre comunità. Il Papa, con molta precisione, ci indica tre livelli della sinodalità: il cuore, ossia la passione, senza la quale sarebbe un esercizio di mera burocrazia; i processi decisionali, cioè le strutture ecclesiali e il loro funzionamento nell’ottica della comunione e della missione; i modi di agire, ossia gli stili che devono connotare la comunione all’interno delle comunità cristiane, per un’azione evangelica nella società.

Il Papa ha chiesto di non “difendersi dalle provocazioni dello Spirito”. Quali sono, a suo avviso, le più urgenti da accogliere in questo tempo?
Sono emerse in questi anni attorno a tre sfide. La prima provocazione riguarda la necessità di ripensare la missione in termini di prossimità; non di consolidamento, né tantomeno di conquista. Fino a qualche decennio fa eravamo abituati a sentirci maggioranza e a contare le adesioni; ora, con l’avanzare del secolarismo, stiamo riscoprendo alcuni stili evangelici più conformi alle beatitudini, più umili, disinteressati, come ci disse Papa Francesco a Firenze dieci anni fa.

Che cosa comporta questo cambiamento per la vita ecclesiale concreta?
Dentro a questa provocazione fondamentale, emergono le altre due: ripensare la formazione dei battezzati, a qualunque livello, dando il primato alla Parola di Dio e all’ascolto delle esperienze di sapore evangelico; e dare forma alla corresponsabilità nella vita pastorale delle comunità, anche per quanto riguarda la gestione delle strutture.

Il riferimento agostiniano al corpo in cui ogni membro è necessario richiama una Chiesa non gerarchica ma organica. Come si sta traducendo questa visione nel Cammino sinodale italiano?
Si sta traducendo soprattutto nel metodo dell’ascolto. Quando Papa Francesco avviò i lavori dell’ultimo Sinodo universale, sulla Chiesa sinodale (del quale il nostro Cammino italiano è parte), lanciò una delle sue efficaci immagini: rovesciare la piramide. I venti milioni di persone che hanno potuto intervenire a qualche momento sinodale – di cui mezzo milione nel nostro Paese – hanno vissuto l’esperienza della Chiesa corpo di Cristo, e non di una Chiesa verticalizzata. Per molti è stata un’esperienza nuova, che ha aperto sentieri inediti, ha risvegliato attese e disponibilità e ha creato ponti con le realtà sociali del territorio. La fitta rete di facilitatori dei gruppi e delegati diocesani, che ha coinvolto decine di migliaia di collaboratori, va consolidata e rappresenta una potenzialità enorme per le nostre Chiese.

Cosa significa, in concreto, che la sinodalità non è solo un metodo ma una forma spirituale e culturale? Quali sono le resistenze più forti a questo passaggio?
Le resistenze non sono poche. Una minoranza di cattolici ha attaccato il Cammino sinodale fin dai suoi primi passi, ritenendolo un percorso fuorviante per la Chiesa, che si esporrebbe in tal modo ad una deriva democratica. Era comunque una posizione che mirava a colpire Papa Francesco più che il Sinodo. Un’altra linea, diametralmente opposta, ritiene insufficiente il Cammino sinodale, perché sarebbe necessaria una sorta di rivoluzione più che una riforma. Anche questa seconda linea finisce per resistere al rinnovamento sinodale, perché rischia di snobbarlo.

C’è una via intermedia che tiene insieme fedeltà e innovazione?
In mezzo ai due estremi, c’è la grande maggioranza di coloro che hanno preso parte all’esperienza, i quali sanno che è importante fissare le mete, conformi al Vaticano II, e scandire con pazienza le tappe.
Questo è anche il modo per far emergere la forma spirituale e culturale del Sinodo: adottare, sulle orme del Concilio, la “lettura dei segni dei tempi” richiesta da Giovanni XXIII.

Dopo il rinvio dell’assemblea dei vescovi, lei ha parlato di un testo “non ancora maturo” e della necessità di “ascoltare la creatività” andando oltre gli schemi. In che modo questo dinamismo può diventare una risorsa permanente per il processo sinodale?
Il dibattito avvenuto nella seconda Assemblea sinodale delle Chiese in Italia a Roma (30 marzo -3 aprile 2025) è stato vivace e costruttivo, benché non privo di qualche vena polemica. Al termine i delegati, insieme ai vescovi e al comitato del Cammino sinodale, hanno votato quasi all’unanimità la proposta di convocare una terza Assemblea, il prossimo 25 ottobre, prima di consegnare alla Cei un testo a cui i vescovi stessi possano dare forma definitiva.

Quali sono stati i limiti del documento discusso ad aprile?
Il documento presentato a quella seconda Assemblea è stato ritenuto troppo stringato per raccogliere la ricchezza del percorso compiuto. Si trattava di “proposizioni”, per loro natura sintetiche, che supponevano tutti i documenti precedenti; ma i moltissimi emendamenti, elaborati nei gruppi di lavoro di quelle giornate, richiedevano un ripensamento globale.

Come si sta procedendo alla stesura del testo definitivo?
Così in queste settimane ci si è rimessi al lavoro, per consegnare un testo più maturo e scorrevole. Per me, come credo per tutti quelli che l’hanno vissuta, è stata un’esperienza di Chiesa ricca e propositiva: davvero abbiamo sperimentato lo stile sinodale, che comporta anche discussioni e dissensi, ma che alla fine cerca di porsi in ascolto dello Spirito, nell’armonia delle voci differenti.

 

Le parole del Papa
Nel discorso rivolto alla Conferenza episcopale italiana il 17 giugno 2025, Papa Leone XIV ha chiesto che la sinodalità “diventi mentalità, nel cuore, nei processi decisionali e nei modi di agire”. Ha invitato i vescovi italiani a non “difendersi dalle provocazioni dello Spirito”, ma a coltivare uno stile di comunione concreta, partecipazione e discernimento. La sinodalità, ha detto, è “una riforma profonda della vita ecclesiale”, non solo un metodo ma una forma spirituale e pastorale.

 

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