Il
In punta di spillo
Pubblicato il Agosto 9, 2025

Il messaggio del Vangelo che ci rende liberi dalle inconsapevoli schiavitù

In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani

«Riposati. Mangia, bevi e divertiti» (Lc. 12, 19). Così ragionava l’uomo della parabola, consapevole di avere a disposizione un’infinità di beni e così potrebbe essere lo slogan di un pensiero molto diffuso nel nostro tempo. Un modo di ragionare che non riguarda solo chi è abbiente. L’equivoco nasce dal fatto che, come per l’uomo della parabola, è diffusa la convinzione che lo star bene dipenda dai mezzi di cui possiamo disporre. Basterebbe pensare alla valanga di giocattoli che hanno oggi i bambini, continuamente sospinti a rivendicarne di nuovi da una pubblicità martellante, che finisce per inculcare in loro l’inconsapevole schiavitù della dipendenza dalle cose. Oppure una veloce indagine dentro i nostri armadi, per capire come l’accumulo seriale sia la spia di un sentire che respira la stessa logica, ossia che è dal possedere che nasce l’appagamento, se non proprio la felicità.

Gesù ammonisce lo stolto della parabola, non perché ricco, ma perché illuso di poter star bene attraverso il godimento solitario delle sue cose. Il che smentisce le ragioni profonde del Vangelo e il motivo per cui Gesù è venuto nel mondo. Sceso tra noi semplicemente per testimoniare con l’esempio di una vita e l’essenzialità del suo messaggio che il segreto della gioia sta nella comunione fraterna. Egli è venuto a liberarci dal Caino che ci portiamo dentro, per aiutarci a fare dell’umanità una sola famiglia. Lo dice anche il testo della liturgia, nel canone secondo, quando dopo la consacrazione si invoca lo Spirito Santo perché “faccia di noi un solo corpo e un solo spirito”.

L’alternativa è il dramma della solitudine. Non tanto quella fisica (basti pensare al formicaio umano dei luoghi di vacanza di questi giorni), quanto quella di una diffusa indifferenza, che lambisce anche le nostre case, trasformate spesso in società cooperative, dove si sta insieme per interesse, per non crearsi disagio, per evitare il chiacchiericcio. Relazioni dove manca la capacità di guardarsi negli occhi, anche tra genitori e figli, incapaci di comunicare in profondità e sottrarsi alla tirannia dei cellulari che catturano l’interesse più delle persone che stanno accanto.

Gesù è venuto a liberarci dalla solitudine, per evitarci il destino dell’uomo della parabola morto prima di morire, perché chiuso in se stesso e senza interlocutori. Gesù è venuto a insegnarci l’alfabeto dell’amore, per mandarci ad amorizzare il mondo. Questo è il motivo vero che giustifica la fede, la ragione per cui l’annuncio del Vangelo è ancora una moneta da spendere presso le nuove generazioni. Del resto questa è anche la testimonianza che ci è venuta dai giovani, a Roma per il loro giubileo. Non è stato solo l’incontro col Papa. Anche quello, certamente. Ma prima di tutto è stato un incontro di umanità, di Chiesa, di famiglia di Dio. Da loro, dai loro visi raggianti, dall’entusiasmo che fioriva dentro la loro primavera anagrafica e spirituale, abbiamo intuito il possibile diverso destino dell’umanità. Un mondo liberato dalla schiavitù della solitudine, degli egoismi e restituito alla gioia di creature che si appartengono. Un grande atto di resistenza all’indifferenza e all’individualismo, un invito a costruire legami profondi che possano rendere il mondo un posto migliore.

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