Continuare a scegliere vie di pace: testimonianza di Marco Reguzzoni
di Marco Reguzzoni
Sono le 6.40 di lunedì 4 aprile. Rientro ora dalla stazione dei treni di Carpi dopo aver accompagnato Tatiana, i suoi due figli e Oksana a prendere la Frecciargento diretta a Roma. Non dormo da 24 ore, entro in casa, mi sdraio sul divano e l’unica cosa che riesco a fare è piangere. Piangere forte, singhiozzando… non lo facevo da tanto tempo. Ho impresse negli occhi due scene che impiegheranno molto tempo a dissolversi.
Prima scena: siamo arrivati da circa un’ora alla dogana ucraina e stiamo aspettando il nostro turno in fila per tornare in Polonia e proseguire diretti fino all’Italia. Davanti a noi, da un altro pulmino della Carovana della Pace scende una donna giovane che abbraccia i volontari italiani e fa scendere anche suo figlio di sei anni. La doganiera ucraina non li lascia passare oltre il confine ucraino perché a lei manca il passaporto cartaceo.
In mezzo alle macerie, alle bombe, ai carri armati, questa mamma aveva dimenticato di prendere il passaporto cartaceo e la sua conterranea la costringe a prendere per mano il figlio tremante dal freddo e tornare indietro a piedi. Sono scioccato e chiedo alle persone che abbiamo caricato se hanno il passaporto. La ragazzina ha solo il certificato di nascita.
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