Intervista a Barbara Fiorio
Culturalmente, rubrica a cura di Francesco Natale
Barbara Fiorio, protagonista di questo nuovo appuntamento di CulturalMente, è l’autrice di “La palestra dei desideri” (ed. Rizzoli, 2025), un libro per ragazzi che mischia realtà con immaginazione. Alice, la protagonista, è un’avida lettrice che nei libri trova rifugio da una realtà che non le sorride troppo: la prof di lettere che la prende di mira e i genitori separati le affidano troppo spesso la sorellina Zoe. Anche in amore e amicizia le cose non tornano. La svolta della storia si ha quando Alice incontra il Genio della lampada imboscatosi nel suo liceo sotto la forma di uno psicologo scolastico. Sarà proprio il Genio ad affidarle un compito difficilissimo: far tornare la gente a desiderare perché nel mondo delle storie che Alice tanto ama, gli Avveratori di desideri sono in difficoltà in quanto nel mondo reale le persone non riescono più a esprimere desideri profondi, ma solo desideri superficiali.
“La palestra dei desideri” è una critica sociale? Hai visto nei ragazzi di oggi delle persone che non riescono a desiderare?
No, non vuole essere una critica sociale. Io forse lo vedo più negli adulti questa mancanza di desideri. Sono più gli adulti che faticano a ricordarsi di dover avere dei desideri più profondi. I ragazzi magari spesso sono molto distratti da tante cose, però hanno tutto il futuro da disegnare. A me piaceva l’idea di immaginare che tutti i bambini siano molto più diretti e senza filtri, mentre invece i filtri, secondo me, cominciano ad averli nell’adolescenza. Tutti noi abbiamo cominciato ad averli durante l’adolescenza, per cui ho individuato lì il momento in cui cominciamo a farci condizionare di più dalla società, dalle aspettative degli adulti, da quello che si suppone dobbiamo fare. Però il problema dei desideri che mancano, secondo me, è assolutamente generale e di qualsiasi generazione da lì in poi.
Ad un certo punto nel tuo libro arriva il genio della lampada. Chi potrebbe essere oggi il genio?
Ma perché non il genio stesso? Nel senso che io mi sono divertita moltissimo a chiamare in causa i personaggi magici, perché comunque sono personaggi che hanno fatto parte della nostra fantasia quando eravamo ragazzini e che tutt’oggi conosciamo, perché fanno parte di leggende, tradizioni, di fiabe. Quindi mi ha divertito proprio mettere questa incursione di fantastico, di elementi fantastici nel mondo reale. Perché no? Perché escluderlo? Nel senso che comunque se si gioca con l’immaginazione, con la fantasia, si può fare, si può immaginare qualsiasi cosa. Per cui non riesco ad individuare in una persona precisa che può essere il genio, perché tutto sommato dovremo esserlo noi per noi stessi.
Sullo sfondo del tuo libro c’è la scuola. La scuola può essere la palestra del desiderio?
Ma certo, anzi, a scuola dovrebbero esserci un sacco di stimoli, è il momento in cui scopriamo le passioni, in cui scopriamo le materie, chi scopre di essere affascinato dalla matematica, dalla letteratura greca, dall’italiano, dalla storia, è il momento in cui si esplora il mondo, lo si conosce, si impara, è un momento di crescita fondamentale e anche di condivisione. La scuola è una culla che dovrebbe incoraggiare e stimolare i ragazzi anche a credere in loro stessi e a rafforzarsi nella loro conoscenza per poi poter perseguire i loro desideri.
E ce la fa la scuola a raggiungere questo obiettivo?
Ah, è una bella domanda. Secondo me ci sono tantissimi insegnanti bravi che questo tipo di lavoro lo fanno, lo fanno bene, sono un piccolo esercito silenzioso di resistenza culturale, ne sono convinta, li ho incontrati anche nel mio girare per le scuole con i libri, poi credo anche che la scuola in Italia in questo periodo storico sia molto molto penalizzata, non sia sostenuta come dovrebbe, non abbia tutte le risorse necessarie per essere e fare ciò che è preposta a fare, quale è quella che è la sua vocazione, credo che bisognerebbe investire molto di più nell’insegnamento, nell’istruzione, nella formazione e nelle scuole stesse perché dovrebbero proprio essere questo tipo di mondo per i ragazzi.