Prosegue la riflessione su guerra e pace, mitezza e violenza nei testi sacri/Parte 3
È il cardinal Ravasi ad ammonirci che “le pagine dell’Antico Testamento sono spesso striate del sangue delle battaglie e si affacciano su rovine e devastazioni causate da eventi bellici”...
di Brunetto Salvarani
È il cardinal Ravasi ad ammonirci che “le pagine dell’Antico Testamento sono spesso striate del sangue delle battaglie e si affacciano su rovine e devastazioni causate da eventi bellici”, e che anche il Nuovo Testamento, “che pure inalbera il vessillo dell’amore ed eredita l’aspirazione messianica biblica allo shalom pace, non ignora questa realtà aspra che costella la vita dei popoli”.
Nella Bibbia, dunque, si parla continuamente di violenza. Il dato, più che scandalizzare, spinge a riflettere: se la Scrittura, che descrive ogni aspetto della relazione fra Dio e l’umanità, trascurasse quell’aspetto fondamentale della storia che è la violenza, non finirebbe per nascondere un dato che attraversa da sempre le vicende umane? In fondo, la violenza non è mai tanto pericolosa come quando la si nasconde: presentandola nelle sue più varie espressioni, la Scrittura costringe il lettore a guardarla in faccia, a considerarla nei minimi dettagli e nelle modalità più subdole. In tal modo, essa gli svela le sue radici nascoste, mostrandogli i moventi personali o collettivi, ed esponendogli senza falsi pudori gli aspetti letali; consentendo così di comprendere sia la violenza che lo circonda sia quella che subisce, ma anche quella che avverte in sé o causa agli altri. In questo scenario, non c’è dubbio che l’orizzonte della pace rappresenti costantemente l’obiettivo e la speranza degli uomini (e delle donne) della Bibbia. Si discute molto attorno al termine ebraico per pace, shalom: la sua radice è šhlm, che sta per restituire, rendere, pagare, retribuire, vendicare, e si utilizza anche per adempiere un voto. Da questo punto di vista, shalom sarebbe lo stato risultante da un equilibrio restituito, caratteristico di chi è soddisfatto, appagato, pieno, integrato. Ed è, ancor oggi, il saluto comune in lingua ebraica, la forma elementare di incontro. Una prospettiva che rende naturale la convinzione che lo shalom, nel suo senso profondo, sia opera del Signore, trova ripetute conferme nelle pagine bibliche e nelle preghiere d’Israele. Nella benedizione sacerdotale del libro dei Numeri (6,24-26), ad esempio, cara a Francesco d’Assisi, si guarda allo come dono di Dio per il suo popolo: “Il Signore ti benedica e ti protegga! Il Signore faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia propizio! Il Signore rivolga verso di te il suo volto e ti dia la pace!” Sì, la pace sta al centro della rivelazione biblica giudaico-cristiana, e lo shalom del Primo Testamento contiene e sintetizza in sé tutti i beni messianici: non rimanda semplicemente a un’assenza di guerra, ma a una pienezza di vita, ed è possibilità storica concreta che Dio concede all’umanità intera; e non un elemento accessorio, ma essenziale, dell’alleanza con Dio, che è berit shalom (Nm 25,12).
Gesù agnello mansueto in una società violenta
Naturalmente, anche nel Nuovo Testamento c’è violenza. Gesù, che si proclama “mite e umile di cuore” (Mt 11,29), non può astrarsi dal suo mondo e dalla sua società, profondamente lacerati. Egli nasce in un contesto determinato in un paese schiacciato dal brutale giogo romano, in cui l’ingiustizia è realtà radicata e quotidiana, tanto da accompagnare l’intera sua esistenza, a partire dalla cosiddetta strage degli innocenti (Mt 2,16-18). Certo Gesù non predica la violenza, tutt’altro, e tanto meno la pratica, ma con essa deve fare i conti ripetutamente. È infatti a partire dalla sua venuta che il Regno di Dio fa irruzione nel mondo, e una tale irruzione suscita una violenza che egli non intende affatto mascherare, cercando semmai di farla emergere. La sua pace, in effetti, non è come la pace di questo mondo, e lui stesso non mancherà di dichiararlo esplicitamente ai suoi amici, la notte prima di essere inghiottito da una spirale di violenze: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Gv 14,27). Evidenziando situazioni d’ingiustizia e di violenza strutturale e istituzionale, tanto religiosa quanto civile, egli ne rende esplicita la radicale inconciliabilità con il Regno. Nonostante non pochi insegnamenti successivi abbiano puntato ad attenuare tale dato cruciale, spingendosi a dichiarare che esiste una violenza necessaria, una guerra giusta (con Agostino di Ippona) e persino una guerra santa (con Bernardo di Chiaravalle), i cristiani sanno che da allora non esiste nessuna violenza che possa essere innocente.
Gesù si distanzia dagli oppositori al regime politico romano, anche armati, dell’epoca, temendo gli equivoci che potevano sorgere dal titolo di Messia, inteso spesso come sovvertimento di poteri temporali stabiliti, se si è lasciato – sulla scia dell’isaiano Servo di YHWH – condurre al macello con la mansuetudine di un agnello. Quando Pietro mozza l’orecchio del servo del sommo sacerdote, la notte del tradimento di Giuda, Gesù condanna subito il suo gesto (Mt 26,52-53). Tuttavia, nei vangeli compaiono sia proclamazioni di una mitezza che rifiuta ogni violenza, ma anche episodi, affermazioni e atteggiamenti che si potrebbero classificare come violenti. Ad esempio, Gesù dichiara che solo i violenti s’impadroniranno del Regno: “La Legge e i Profeti fino a Giovanni: da allora in poi viene annunciato il Regno di Dio e ognuno si sforza di entrarvi con la violenza” (Lc 16,16); “Dai giorni di Giovanni il Battista fino ad ora, il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” (Mt 1,12). E ancora: “Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada” (Mt 10,34): una spada che Luca interpreta come divisione (Lc 12,51), perché la parola di Dio obbliga tutti a prendere posizione. E c’è chi crede, e chi non crede… La sequela di Gesù è in effetti divisiva per la radicalità che impone, fino a vietare di recarsi a seppellire il proprio padre, o di congedarsi dai familiari prima di andare con lui (Lc 9,57-62). Il vangelo, del resto, consiste nell’annuncio della pace che si è compiuta in Gesù Cristo, resa possibile dalla sua presenza fra gli uomini. E’ lui che, con la sua morte in croce, subendo la violenza che il mondo intero gli scarica addosso, effonde il suo spirito che è spirito di pace: “Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne” (Ef 2,14).