Ti
In cammino con la Parola
Pubblicato il Ottobre 25, 2023

Ti amo, Signore, mia forza

Commento al Vangelo di don Carlo Bellini - Domenica 29 ottobre 2023.

 

Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei, avendo udito che Gesù aveva chiuso la bocca ai sadducèi, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento? ». Gli rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti».

Commento

Nel vangelo di questa domenica Gesù insegna il grande comandamento dell’amore, un aspetto decisivo del suo messaggio. Si tratta di un testo importante e famoso che è presente in tutti i vangeli sinottici. È interessante notare che Marco lo collega al racconto di un amichevole incontro con uno scriba ben disposto (Mc 12, 28-34), Luca fa porre la domanda da un dottore della legge (Lc 10,25), mentre Matteo lo inserisce nel contesto polemico di un dibattito scritturistico con i farisei. Ancora una volta vogliono mettere alla prova Gesù, dopo che «aveva chiuso la bocca ai sadducei» in una polemica sulla questione della resurrezione, nei versetti immediatamente precedenti (Mt 22,2333). L’interrogativo spinoso questa volta è quale sia il comandamento più grande, quello più importante, dal quale dipende tutta la Legge. Era una domanda sensata e tipica degli studiosi della religione ebraica. Nel corso del tempo i rabbini avevano enumerato ben 613 comandamenti della Torah e ci si chiedeva quali fossero quelli fondamentali e riassuntivi di tutta la Legge.

Si distingueva tra comandamenti più importanti, come quello di onorare i genitori (Dt 5,16) e comandamenti più leggeri come quello che riguardava i nidi degli uccelli (Dt 22,6-7). Alcuni maestri avevano tentato di dare delle risposte sintetiche come il famoso rabbino Hillel che affermava: «ciò che è odioso per te, tu non lo fare al tuo prossimo; questo è tutta la Torah, mentre il resto è un commento ad essa». Dunque era interessante sentire anche l’opinione di Gesù, magari per poi criticarla. Gesù risponde con il comandamento dell’amore a Dio e al prossimo. La sua risposta consiste in citazioni di versetti dalla Legge, dunque non inventa ma sceglie tra insegnamenti già presenti. L’amore a Dio è una citazione di Dt 6,5, parte del testo dello Shema che gli ebrei osservanti recitano ancora oggi più volte al giorno. Il secondo comandamento è una citazione di Lv 19,18. Si noti l’affermazione «il secondo è simile al primo», esclusiva di Matteo, che vuole esplicitamente mettere sullo stesso piano l’amore a Dio e l’amore al prossimo. La risposta di Gesù non è una novità assoluta, anzi è in linea con ciò che molti maestri del suo tempo insegnavano. Probabilmente la vera novità è mettere sullo stesso piano l’amore a Dio e l’amore al prossimo.

Dunque l’amore è il centro della legge e dell’insegnamento di Gesù. Ci colpisce subito la paradossalità di un’associazione di termini come “comandamento dell’amore”. L’amore è una di quelle cose che non si può comandare, non deriva da uno sforzo della volontà e nemmeno s’impara sui libri. Con l’amore abbiamo a che fare con qualcosa d’ineffabile, che cioè non può essere del tutto detto in parole. Tuttavia è il centro dell’esistenza degli uomini, che sempre lo cercano anche quando non ne sono consapevoli. Non sono poche le persone che non si sentono amate o si rendono conto di non riuscire ad amare come vorrebbero. Il percorso che ci porta ad amare passa attraverso il superamento delle nostre chiusure, delle protezioni di cui ci circondiamo per paura. Questo può avvenire solo se qualcuno ci ama per primo. L’amore s’impara dall’esperienza di essere amati. Gesù stesso ha detto «amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 15,12). Solo l’esperienza dell’amore ricevuto scioglie le durezze del cuore e apre agli altri.

L’amore prima che un fare o un sentire è un essere, una condizione dell’essere che si esprime poi nell’attenzione all’altro, nel prendersi cura e nell’apertura verso la trascendenza. Gesù ci chiede di essere amore. Allora scopriamo che la capacità di amare è un dono e una delle nostre naturali possibilità, che mette in gioco tutto ciò che un uomo può fare (forza, mente, corpo, anima). La maggior parte degli studiosi dell’Antico Testamento concorda sul fatto che il comandamento di amare Dio con tutte il cuore, l’anima e le forze nasce nell’esperienza e nella tradizione famigliare dell’ebraismo antico (e non per esempio dal modello di obbedienza e rispetto verso il re). Il comandamento dell’amore ci rimanda alla centralità dell’esperienza di coppia e anche della famiglia che diventano un vero e proprio luogo teologico. Nelle nostre famiglie s’impara ad amare e a essere amati e diventa plausibile l’apertura a un Dio dell’amore.

L’opera d’arte

Matrimonio mistico di Santa Caterina d’Alessandria (anni ‘20-‘30 del XV secolo), Carpi, pieve di Santa Maria in Castello detta la Sagra. Ci piace suggerire una sintonia tra il ritornello del Salmo, “Ti amo, Signore, mia forza”, e la vicenda di Santa Caterina d’Alessandria d’Egitto, il cui culto si diffuse in tutta Europa. Un’esperienza spirituale, quella della giovane, bella e colta, martirizzata all’inizio del IV secolo, patrona dei filosofi e delle università, che trova una sintesi nel cosiddetto matrimonio mistico con Cristo. Tale evento è stato rappresentato innumerevoli volte, per le suggestioni che l’agiografia della Santa suscitò sempre.

Ne sono prova, a Carpi, i pregevoli affreschi nella cappella a lei intitolata presso la Sagra, importante testimonianza, insieme a quelli della cappella di San Martino, sempre nella pieve, della pittura gotico cortese emiliana. Fra i vivaci episodi raffigurati, il matrimonio mistico si trova sulla parete di fondo, in posizione centrale. Vestita di scuro, la bionda Caterina porge il dito, per ricevere l’anello nuziale, a Cristo, dalle sembianze non di un bambino in fasce, secondo l’iconografia consueta, ma di un principe sul trono.

V.P.

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