Il
In cammino con la Parola
Pubblicato il Febbraio 19, 2025

Il Signore è buono e grande nell’amore

Commento al Vangelo di domenica 23 febbraio

Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro. E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso. (…)».

Commento

L’arte di “misericordiare”

A cura di Rosalba Manes, Consacrata ordo virginum e biblista

Nel Discorso in pianura che Luca ci consegna, Gesù continua ad insegnare, invitando tutti ad entrare in una vita nuova, quella di quanti accolgono la sua Parola non per la consolazione o la contrizione di un’istante ma per cambiare mentalità e permettere all’energia che in tale parola è racchiusa di tradursi in gesti, posture e scelte di vita degne del Cielo. L’esistenza profetica “beata” che Gesù prospetta presenta un tratto alquanto rivoluzionario poichè comporta una relazione del tutto inedita non solo con il prossimo in generale, ma anche con il «nemico». Il Maestro non chiede di astenersi dalla vendetta, non chiede di ignorare il nemico nè di tollerarlo, ma chiede addirittura di amarlo. Ma com’è possibile amare chi ti rema contro, ti umilia, ti diffama, ti fa del male e gode della tua caduta?

Gesù chiede ai suoi discepoli di superarsi, di andare oltre, oltre l’amor proprio, oltre le ferite causate dagli altri, cambiando la chiave ermeneutica del trauma vissuto, trasformando il senso di umiliazione che si sperimenta in questi casi in un sentimento di umiltà. Quando di fronte all’ostilità dell’altro ci si sente umiliati, si tende a leggere la propria creaturalità come “scandalo” e si sceglie di reagire aggredendo; quando invece si legge la propria creaturalità con umiltà la si avverte come “prodigio”, come luogo dalle mille risorse, che permette di andare oltre, desiderando persino riempire il deficit relazionale e affettivo dell’altro. Ora Gesù insegna ai suoi che vi è un solo modo per curare questo deficit: spiazzare l’altro reagendo al suo male con il nostro bene, cioè perdonarlo. Il Figlio di Dio invita quindi a vivere relazioni nuove, che non siano funzionali, legate all’appartenenza, all’interesse, alla possibilità della reciprocità e del contraccambio. Gesù invita a lasciarsi toccare dalla grazia per imparare l’arte della gratuità. Egli prospetta una dilatazione dei rapporti e della propria capacità di donare e di donarsi, un vincere il male e la violenza che si annidano dentro di noi, neutralizzandone la fonte: il desiderio di difendersi dall’attacco dell’altro aggredendolo e annientandolo.

Gesù suggerisce lo stile della gratuità che viene dall’alto e si riceve da Dio che è il Gratuitissimo per eccellenza. Benedire chi ti maledice, donare gratuitamente senza sperare un tornaconto non provengono da nessun codice legislativo, ma dell’azione dello Spirito di Dio in noi che può rigenerare l’Adam che siamo, cioè le creature fatte di terra e limite, trasformandoci in un prodigio, in «figli dell’Altissimo », creature disposte a somigliare a Colui che benefica tutti, persino «gli ingrati e i malvagi». Somigliare a Dio Padre che si fa «tutto a tutti» (1Cor 9,22) significa liberarsi dalla legge del taglione, dalla logica della retribuzione e della vendetta, per accogliere la logica del perdono, del giudizio equilibrato, del dono gratuito. Amare il nemico significa scegliere di essere figli che imparano dal Padre misericordioso il potere di “misericordiare” e lo esercitano mediante un’umile ma efficace “regalità”. Questa “regalità filiale” consiste nel dilatare il proprio cuore per concedere agli altri quanto riceviamo dal Padre: il perdono, la possibilità del riscatto e il dono di uno spazio relazionale caldo e fiducioso dove crescere e maturare.

Nell’anno (2024-2025) in cui si celebra il centenario della nascita di don Oreste Benzi – il programma degli eventi è iniziato nel settembre scorso a Rimini – in questo periodo di Avvento il commento al Vangelo della domenica su Notizie sarà accompagnato dalle riflessioni del fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. I testi sono tratti da “Pane Quotidiano” il messalino con il Vangelo e la Parola di Dio del giorno commentati da don Oreste Benzi. Info: https://shop.apg23.org/abbonamenti/16-messalino-pane-quotidiano.html

Quando Gesù dice: «Amate i vostri nemici» si rendeva conto della difficoltà di questo comandamento e dava un significato profondo ad ogni parola della frase. La nostra responsabilità di cristiani consiste nello scoprire il significato di questo comandamento e cercare di viverlo completamente con passione nella vita quotidiana. Siamo pratici e chiediamoci: «In che modo amare i nostri nemici?». Perdonare non significa ignorare ciò che è stato fatto o mettere un’etichetta falsa su un’azione malvagia. Piuttosto significa che l’azione malvagia non è più un ostacolo ai rapporti. Il perdono crea l’atmosfera necessaria per una nuova partenza, un nuovo inizio. In moltissimi è forte il desiderio, la decisione di realizzare il mondo nuovo basato su Cristo, l’unico che ci può salvare. Uniamoci, il cammino è chiaro, stiamo insieme.

Don Oreste Benzi (Tratto da “Pane Quotidiano, Sempre Editore”)

L’opera d’arte

Andrea Mantegna, Ecce Homo (1500 ca.), Parigi, Musée Jacquemart-André. “Amate i vostri nemici… pregate per coloro che vi trattano male”, leggiamo nel Vangelo di questa domenica. E’ il comandamento vissuto da Gesù fino alla morte, invocando il perdono per i suoi carnefici. Da questi è circondato il Cristo nell’Ecce Homo del Mantegna, il quale negli ultimi anni della sua vita dipinse opere devozionali in cui i personaggi si stagliano su uno sfondo scuro, ispirati ai rilievi delle tombe antiche. Gesù è ricoperto dalle piaghe della flagellazione, con la corona di spine, secondo l’iconografia tradizionale, e la corda al collo trascinata da un aguzzino fuori dallo spazio pittorico.

Dei due che lo trattengono, dalla fisionomia grottesca, quello a sinistra ha sulla fronte una fascia di carta con un’iscrizione pseudo-ebraica; a destra, con un turbante giallo, una vecchia dalla smorfia di scherno e la bocca sdentata. Altre due figure di persecutori sono appena visibili sullo sfondo. I fogli negli angoli superiori riportano le parole della folla a Pilato: “Crocifiggilo, prendilo e crocifiggilo”. Spicca al centro il volto dolente ma composto di Gesù, incoronato dall’aureola di luce che lascia intravedere quello che sta dietro.

V.P.

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