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Pubblicato il Luglio 13, 2022
Editoriale

La politica guarda alle elezioni 2023 e perde di vista l’urgenza dei problemi

Rimandati a settembre

 

Intervenire con chiarezza su alcune priorità per la difesa della persona, sempre e chiunque, anche con la necessaria interlocuzione con la politica” sono le parole del cardinale Matteo Zuppi nel suo primo discorso da Presidente della CEI in apertura del consiglio permanente della scorsa settimana. Tra gli auspici del presule “una politica nuova della famiglia e dell’accoglienza, che permetta di uscire dal precariato, dall’incertezza e promuova uno sguardo fiducioso nel futuro”. Un’urgenza che si scontra con i riti e le scadenze della politica come bene esplicitato in questa nota.

 

Di Stefano De Martis

 

Tutto rimandato a settembre? Salvo colpi di scena sempre possibili quando i rapporti nella maggioranza sono tenuti costantemente sul filo (ma le crisi in piena estate non portano bene a chi le provoca, vedi agosto 2019, governo giallo-verde), la resa dei conti tra i partiti e tra questi e l’esecutivo Draghi sembra rinviata di un paio di mesi. Almeno a prendere per buone le pur oscillanti dichiarazioni dei potenziali protagonisti.

Ma perché a settembre? Purtroppo, anche se sarebbe drammaticamente auspicabile, non è prevedibile che per quel momento la guerra in Ucraina sia conclusa. Altrettanto si può dire della crisi energetica e dell’inflazione galoppante. Quanto al Covid, nonostante i grandi progressi compiuti, il passaggio dalla fase pandemica a quella endemica non è così imminente. E allora? Perché, se per il nostro Paese saranno ancora attuali quei grandi problemi interni e internazionali (ammesso che siano scindibili), a settembre dovrebbe diventare possibile quel che oggi non è considerato tale? A ben vedere siamo di fronte all’ennesima dimostrazione di uno scollamento di certa politica dalle questioni che investono effettivamente la vita della comunità nazionale, anche se poi i “veri bisogni degli italiani” – peraltro accuratamente selezionati in base alle rispettive griglie ideologiche – vengono evocati senza sosta nel dibattito pubblico. Ma si tratta di un artificio retorico e propagandistico.

I tempi della politica dei partiti appaiono piuttosto scanditi dalla scadenza che monopolizza non da ora i pensieri di molti leader: le elezioni che si terranno tra marzo e maggio del prossimo anno. Intendiamoci, le elezioni per il rinnovo del Parlamento sono un appuntamento di primaria ed essenziale rilevanza per una democrazia. Il problema, quindi, non è il voto in quanto tale – guai a demonizzare la chiamata alle urne dei cittadini e la fisiologica competizione tra i partiti – ma il percorso e il modo con cui ci si avvicina a quello snodo cruciale. Il punto è che in autunno – di qui il richiamo a settembre – dev’essere predisposta la legge di bilancio che poi va approvata dalle Camere entro la fine dell’anno. Una manovra economica che si preannuncia particolarmente complessa proprio per il quadro generale che si è tratteggiato e le sue pesanti ripercussioni economiche e finanziarie. Bisognerà continuare a spingere sulla crescita e sul sostegno a famiglie e imprese, ma allo stesso tempo tenere sotto controllo i conti pubblici.

Saranno necessarie delle scelte impegnative e per questo occorrerà un esercizio di responsabilità da parte di tutti. Con il voto dietro l’angolo, però, la tentazione di sfilarsi o di trasformare la legge di bilancio in una sommatoria disordinata di “bandierine” pre-elettorali diventerà particolarmente insidiosa. A maggior ragione se si tiene presente che il secondo semestre dell’anno coincide con l’avvio di una nuova fase dell’attuazione del Pnrr: non più solo riforme o procedure ma la “messa a terra” dei cantieri con opere concrete. Una prova che per l’Italia si è spesso rivelata molto ardua.

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